“Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.”
Questa massima, uscita dalla penna dello scrittore, saggista e giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, mi riporta indietro all’ultimo anno di liceo, quando in letteratura (italiana, inglese o tedesca: diversi autori, stesse tematiche!) sviluppavamo il concetto di viaggio come metafora della vita, ma anche della crescita interiore, di ogni essere umano.
A pensarci bene, non smettiamo mai di viaggiare, quindi di crescere: anche quando rimaniamo fermi nello stesso posto, in realtà ci stiamo muovendo; siamo sempre alla ricerca di qualcosa, a volte semplicemente di un equilibrio, altre volte addirittura del senso di ciò che siamo e che facciamo. Ognuno di noi compie il suo viaggio nel mondo (e nel proprio Io) con i tempi e le modalità a lui più congeniali: c’è chi, come la sottoscritta, è piuttosto sedentario e fisicamente non percorre molti chilometri, però ama viaggiare con la mente, che non si ferma mai; d’altra parte esistono anche coloro che per stare bene hanno bisogno di muoversi in continuazione e di esplorare posti nuovi, perché si sentono prigionieri se rimangono troppo a lungo nello stesso luogo.
Una di queste persone è sicuramente Giulia Lamarca, una psicologa ventisettenne che ufficialmente risiede a Torino, ma ormai da tempo ha fatto del mondo la sua casa. Sin da piccola Giulia ha viaggiato molto, assecondando la passione dei genitori, “aficionados” del camper; tuttavia ha effettivamente contratto il “virus del viaggio” in tempi più recenti, dopo il vano tentativo del destino di imporle un brusco stop, un arresto forzato che a soli diciannove anni lei non voleva né poteva accettare.
Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 6 ottobre 2011, quando Giulia frequenta il primo anno di Università a Torino e intanto, per guadagnare qualche soldo, lavora come gelataia; ha appena finito il turno dietro al banco e il suo fidanzato la aspetta fuori, pronto a riaccompagnarla a casa in sella al suo scooter. Così i due partono insieme, imboccando una strada percorsa molte altre volte e forse pensando che come al solito sarà un viaggio breve ma piacevole, perché condiviso; ebbene, dopo pochi metri l’incantesimo si spezza, le ruote dello scooter scivolano e perdono aderenza, il giovane guidatore agisce d’istinto e spinge il mezzo in avanti, mentre Giulia (chissà perché…) inarca la schiena all’indietro e cade, spezzandosela in due.
Da quel momento nulla sarà più come prima e per Giulia inizierà una seconda vita, d’ora in poi le ruote sulle quali si sposterà non saranno quelle di uno scooter, bensì quelle di una carrozzina; dopo tre mesi di ricovero in ospedale arriva la diagnosi di paraplegia incompleta, una condizione che pur essendo drammatica lascia aperto uno spiraglio: la ragazza non potrà più camminare, ma con il tempo riacquisterà la sensibilità in tutto il corpo, riuscendo anche a compiere piccoli movimenti degli arti inferiori. La degenza in ospedale si protrae quindi per altri sei mesi, durante i quali la fisioterapia è il pane quotidiano, parte integrante di un percorso riabilitativo che aiuterà Giulia a scendere a patti con la sua nuova condizione.
In questo contesto entra in scena Andrea, studente di fisioterapia al secondo anno, affiancato alla fisioterapista che la segue; lavorando con questa giovane paziente, Andrea ne rimane subito affascinato, tanto che le scrive appena finito il tirocinio; Giulia però è appena tornata single e deve ancora imparare a “ri-conoscersi” dopo l’incidente, insomma non è assolutamente pronta per una nuova storia, tra l’altro è in carrozzina, chi volete che se la pigli?
Eppure qualche tempo dopo sarà proprio lei a cercare Andrea… Una prima uscita insieme, un’amicizia che piano piano si trasforma in amore e poi, quando Giulia viene dimessa dall’ospedale a giugno 2012, l’inizio della convivenza, dapprima in un appartamento condiviso con altri studenti, quindi in una casa tutta per loro.
Per Giulia, che fino al giorno dell’incidente viveva in famiglia con i genitori e i fratelli, l’emancipazione comincia proprio da qui, arriva insieme con l’amore, quasi come un dono inaspettato da parte di Cupido; tuttavia emanciparsi non significa soltanto uscire dalla casa che ci ha visti crescere per andare ad abitarne una propria, vuol dire anche essere in grado di ritagliarsi uno spazio nel mondo, di trovare una dimensione nella quale ci si sente liberi di essere se stessi e di esprimere al massimo le potenzialità che ci portiamo dentro.
Incoraggiata e supportata da Andrea, Giulia scopre di sentirsi libera viaggiando. Nell’estate del 2013, quando lei è ancora una neofita della sedia a rotelle, la giovane coppia si concede una breve vacanza a Cipro, solo per “tastare il terreno” e capire se viaggiare in carrozzina è davvero un’impresa che vale la pena tentare; nello stesso anno, durante il periodo natalizio, i due decidono di fare sul serio e volano addirittura fino in Australia! Nella terra dei canguri l’aria che si respira è veramente diversa, la gente è molto più aperta e Giulia può finalmente essere una persona, non la sua carrozzina; la bellezza dei luoghi visitati e le sensazioni positive provate in quei giorni rimangono nel suo cuore anche dopo il rientro a Torino, facendole venire voglia di ripartire il prima possibile per stare di nuovo così bene.
Insomma, a questo punto il “virus del viaggio”, che già aveva contagiato Andrea, ha colpito anche Giulia; la potenza del virus è tale che ad oggi, a quasi sei anni da quel “Battesimo del fuoco”, la giovane coppia piemontese (nel frattempo convolata a nozze) ha lasciato le proprie tracce in oltre settantacinque città, sparse in ventitré Paesi del mondo, dislocati nei cinque continenti.
Certo, viaggiare non è sempre facile, soprattutto per chi cammina su ruote: capita spesso che gli scorci panoramici, gli edifici più antichi o gli alberghi più economici di una città non siano accessibili, totalmente o parzialmente; può anche succedere che le persone con le quali ci si interfaccia per organizzare un viaggio (o durante il viaggio stesso) siano prevenute nei confronti di una realtà che è diversa dalla loro e che non conoscono, oppure abbiano semplicemente paura di affrontarla. È chiaro che in questi casi l’assistenza fornita lascia a desiderare e l’unica alternativa è quella di arrangiarsi alla meno peggio, contando solo sulle proprie forze, a meno di non voler cambiare immediatamente destinazione e spostarsi altrove, alla ricerca di un trattamento migliore.
Ben consapevole di questa dura verità, da qualche tempo Giulia Lamarca ha deciso di rendere pubblica la sua quotidianità “su ruote”, ma soprattutto la sua esperienza di viaggiatrice in carrozzina (ormai pluriennale), affinché altre persone disabili possano trarne ispirazione o consigli utili per avventurarsi liberamente nel mondo; una seconda ragione per raccontarsi, forse anche più importante della prima, risiede nella speranza di portare un cambiamento a livello planetario: sarebbe bellissimo se in un futuro non troppo lontano, tutti, indipendentemente dalle loro condizioni fisiche, potessero ammirare le bellezze naturali e architettoniche presenti sulla Terra, ovvero se queste diventassero finalmente accessibili a tutti!
Secondo voi, quale altro mezzo di comunicazione se non Internet, segnatamente il World Wide Web, avrebbe potuto scegliere una ragazza ventisettenne desiderosa di presentarsi al mondo come sua cittadina? Così è nato il sito web My travels: the hard truth, che tradotto significa appunto: “I miei viaggi: la dura verità” (quella che abbiamo spiegato nei due paragrafi precedenti!); se ci date un’occhiata, avrete modo di conoscere meglio Giulia e suo marito Andrea, nonché di leggere un blog con alcuni articoli sui viaggi che hanno intrapreso finora, tra i quali menzioniamo quello in Giappone (che ad oggi rimane il Paese più accessibile che abbiano mai visitato). In alternativa, o magari in aggiunta, potete seguire le avventure della coppia tramite Facebook e Instagram, oppure iscrivendovi al canale Youtube che Giulia ha recentemente aperto on line.
L’accesso alle piattaforme virtuali appena elencate vi permetterà di “stare a ruota” con questa ragazza coraggiosa, vulcanica ed esuberante che non è solo una viaggiatrice, bensì anche una professionista (che attualmente collabora con due aziende per promuovere politiche attive finalizzate all’inserimento lavorativo dei disabili), una specializzanda in Psicologia della Salute e una moglie felice che sogna di diventare presto madre.
Se le chiediamo come pensa di riuscire a conciliare tutto, risponde che l’importante è conoscere la realtà che si vive, le proprie debolezze e i propri punti di forza; la piena consapevolezza di ciò che non possiamo (più) fare ci rende forse più audaci e desiderosi di scoprire quali sono invece le nostre potenzialità, spingendoci a cercare e adottare strategie personali per metterle in atto. Ecco allora che l’impossibile diventa possibile, sta a ciascuno di noi trovare il suo!
Dopo aver conosciuto Giulia e aver tentato di presentarla a tutti voi attraverso quest’articolo, mi è venuta una gran voglia di partire e andare alla ricerca del mio “possibile”. Spero che il “virus del viaggio” (letterale o metaforico, a voi la scelta) sia effettivamente contagioso e che d’ora in poi saremo in tanti a voler “ruotare” il mondo come Giulia!