“Non c’è niente da fare, ce l’ha nel sangue!” – Quante volte abbiamo usato quest’espressione per commentare la bravura e il talento di una persona in una determinata attività o disciplina? Beh, vi assicuro che dopo aver letto questa storia la userete di nuovo, esattamente come ho fatto io dopo che la sua protagonista me l’ha raccontata.
Eleonora Delnevo è una consulente ambientale di 37 anni, molto sportiva, con un grande amore per la natura e un’irrefrenabile voglia di stare all’aria aperta; ormai da parecchi anni riesce a unire tutte queste sue passioni nella pratica dell’alpinismo, ma se quand’era ancora una neofita le avessero detto che lo sport al quale si stava avvicinando le avrebbe cambiato la vita per sempre, probabilmente non c’avrebbe creduto, anzi, avrebbe mandato tutti al diavolo con una bella risata.
E invece è andata proprio così; il 19 marzo 2015, mentre si trovava sulla parete di una cascata di ghiaccio in Val di Daone (TN), la montagna le ha dato uno schiaffo: un blocco si è letteralmente staccato, travolgendo lei e i suoi compagni di cordata e trascinandoli per circa una trentina di metri, per farli poi cadere nel canale innevato sottostante. Ad avere la peggio in questa brutta avventura è stata proprio Eleonora, che cadendo ha riportato una lesione completa del midollo spinale, con conseguente paralisi dalla vita in giù; il fatto di essere sempre rimasta lucida, senza mai perdere conoscenza, le ha permesso di vivere “attivamente” anche le fasi di soccorso (che ricorda ancora oggi) e di capire quasi subito che non avrebbe più potuto camminare.
Pur con questa consapevolezza, l’alpinista bergamasca non ha mai pensato che la sua vita fosse finita, anzi, già durante il lungo periodo di riabilitazione pensava a come riorganizzarsi per tornare tra le montagne, sicura di poter contare sull’aiuto degli amici di sempre ma anche pronta a farsene di nuovi; nell’ultimo giorno di degenza presso il centro di riabilitazione, Diego Pezzoli e Mauro Gibellini, due dei suoi “storici” compagni di cordata, vanno a trovarla e le lanciano una sfida: provare a raggiungere insieme la vetta di El Capitan (“El Cap” per gli addetti ai lavori), un gigante di oltre duemila metri situato in California, nel parco dello Yosemite.
Inutile dire che una donna coraggiosa e intrepida come “Loli” (così la chiamano simpaticamente amici e familiari) accetta la sfida senza indugi; per prepararsi all’impresa, ma soprattutto per riprendere confidenza con l’ambiente montano, compie vari “giri di ricognizione”, tra i quali uno sull’Ortles (una cima ubicata in provincia di Bolzano) appena una settimana dopo essere stata dimessa dall’ospedale.
A questa prima avventura in carrozzina, vissuta insieme all’amico alpinista Maurizio Tasca, ne seguono altre, senza perdere mai di vista il vero obbiettivo, “El Cap”; ma come fare a scalarlo non potendo usare le gambe? Fortunatamente, Eleonora e compagni non devono inventarsi nulla, perché altre due ragazze paraplegiche (l’inglese Karen Darke e la belga Vanessa François, dalla quale Eleonora apprenderà il nuovo sistema di salita) hanno già compiuto quest’impresa, rispettivamente nel 2008 e nel 2013, e sono ben liete di fornire loro tutte le informazioni e i consigli di cui hanno bisogno. Confrontandosi con queste scalatrici, il gruppo di amici bergamaschi scopre che in realtà a Loli non servono ausili particolari, basta “semplicemente” creare un sistema di carrucole, saldare una corda da alpinismo (“traction” per gli addetti ai lavori) a un manubrio da bicicletta e utilizzare un imbrago ultraleggero da parapendio; grazie a questi accorgimenti e a un po’ di allenamento in palestra per affinare la tecnica, anche lei può mirare alla cima.
Così nel settembre 2016, un anno e mezzo dopo l’incidente, tutto è pronto per volare oltreoceano e, una volta giunti in California, puntare diritti alla vetta di “El Cap”; inizialmente il team è un quartetto, ma poi rimangono in tre e la salita procede a rilento, quindi al terzo giorno Eleonora e compagni decidono di lasciar perdere e rientrano alla base. Nonostante il tentativo fallito, il gruppo non si lascia scoraggiare, bisogna solo capire cos’è andato storto e organizzarsi meglio per riprovarci appena possibile.
Il momento giusto per ritentare l’impresa arriva due anni dopo, precisamente il 29 settembre 2018, quando Loli, Mauro Gibellini, Diego Pezzoli e Antonio Pozzi si lanciano di nuovo all’assalto di El Capitan; l’ascesa dura poco più di tre giorni e all’alba di martedì 2 ottobre la vetta è finalmente raggiunta, in barba al temporale che incombe minaccioso sul gruppo e che finirà per complicarne un bel po’ la discesa.
Le condizioni meteorologiche avverse non lasciano spazio ai festeggiamenti, è preferibile iniziare subito a scendere, per giungere quanto prima al campo base e farsi finalmente una doccia calda; i festeggiamenti vengono rimandati al rientro in patria, quando le foto e i post pubblicati sul sito Loli back to the top fanno sì che l’impresa abbia una grande risonanza mediatica ed Eleonora conquisti le luci della ribalta per essere stata la prima paraplegica italiana ad arrivare in cima a El Capitan.
Sono molte le riviste di settore che le dedicano un articolo, per non parlare dei quotidiani e dei telegiornali, sia regionali che nazionali; ora la domanda sorge spontanea, come direbbe il buon Marzullo: quali saranno le prossime vette da espugnare? “Non so se ci saranno altre vette” – risponde la giovane scalatrice – “organizzare queste salite significa anche avere molta gente a supporto degli arrampicatori per aiutare a salire all’attacco oppure dalla vetta, e a portare il materiale…in Yosemite non abbiamo avuto problemi a trovare gente che ci aiutasse, qui direi che è l’ostacolo principale!”. Ciò significa che qui in Italia la mentalità è diversa, più improntata all’individualismo che al cameratismo e allo spirito di squadra; ovviamente la speranza è che in un prossimo futuro la prospettiva cambi e che Loli (ma anche tutti gli altri disabili desiderosi di farlo) possa spostarsi sempre più agevolmente tra le montagne che tanto ama. Nel frattempo lei non si scoraggia ed è continuamente alla ricerca di nuove avventure outdoor, quali ad esempio delle belle escursioni fluviali in kayak, “perché l’importante è non chiudersi in casa, ma cercare di uscire anche se non si riescono a fare le stesse attività di prima. Uscire con gli amici di prima, ma anche con nuovi amici che si creano sui nuovi percorsi!”. Grazie Eleonora, queste sono parole che ogni disabile, soprattutto se reduce da un trauma, dovrebbe leggere e interiorizzare; se veramente riuscisse a farlo, la sua qualità di vita (e quella dei suoi amici normodotati) sarebbe sicuramente migliore!