Non ho mai sentito parlare così tanto di accessibilità, inclusione e pari opportunità come in questi ultimi anni, complici anche i mass media e i social network, che spesso si servono di questi concetti con il solo scopo di fare audience o di incrementare le visualizzazioni e le interazioni; se tutti coloro che usano correntemente questi termini (a cominciare dai rappresentanti delle istituzioni) si adoperassero per dar loro effettiva concretezza, vivremo certamente in un mondo migliore.
Purtroppo la strada da fare è ancora lunga, l’ho constatato di persona più di una volta, anzi, a voler essere sincera l’ho vissuto sulla mia pelle troppe volte! L’ultima in ordine di tempo risale alla mattinata di sabato 27 agosto, quando intorno alle nove sono uscita di casa per recarmi allo sportello bancomat più vicino, ovvero quello della Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia ubicato in via Volturno 18 a Udine.
Trattandosi di una banca diversa dalla mia, non utilizzo mai questo sportello, sabato 27 agosto l’ho usato per la seconda volta in undici anni, perché avevo necessità di avere subito a disposizione dei contanti; forse potrà sembrare strano, ma quando usai quel bancomat per la prima volta (7 – 8 anni fa, credo) mi parve più accessibile rispetto a oggi, infatti ricordo che allora riuscii a prelevare da sola.
Non posso dire altrettanto per questa seconda occasione, quando appena giunta davanti al bancomat con la mia carrozzina, ho constatato che la fessura nella quale inserire la tessera non era esattamente alla mia portata, per inserire la carta all’interno avrei dovuto fare un po’ di stretching… Fortunatamente una signora che aveva prelevato prima di me mi ha vista, ha intuito che forse sarei stata in difficoltà e quindi si è gentilmente offerta di aiutarmi; così abbiamo compiuto insieme tutte le operazioni necessarie perché la macchina erogasse il denaro, l’unica cosa che ho potuto fare in autonomia (grazie al cielo!) è stato digitare il PIN…
Alla fine ho riscosso i miei soldi e sono tornata a casa, ma l’amarezza persiste ancora oggi, a distanza di qualche giorno, anche perché questo è solo l’ennesimo esempio di quanto la città in cui vivo sia accessibile… Il 17 settembre, quindi tra un paio di settimane appena, la mia vita indipendente e udinese compirà 11 anni, nei quali ho acquisito nuove sicurezze, competenze e abilità, imparando le strategie per muovermi da sola nel mio quartiere, prima semplicemente in carrozzina, da un anno a questa parte anche con l’aiuto di un propulsore elettrico anteriore, comunemente detto “ruotino”; non vi nego che purtroppo queste strategie sono ancora da affinare e so per certo che il mio grado di autonomia negli spostamenti in città non potrà mai essere paragonabile a quello di un paraplegico (se non altro perché a me manca il senso dell’equilibrio, che i paraplegici di solito non perdono dopo il trauma), tuttavia penso che aldilà della mia specifica condizione, la mia vita cittadina sarebbe più facile se l’ambiente che mi circonda, i servizi e le infrastrutture con i quali mi confronto quotidianamente fossero veramente pensati e costruiti per essere inclusivi.
Naturalmente non mi riferisco soltanto agli istituti di credito e ai loro sportelli bancomat, anzi, non voglio neanche parlare dei bar, gelaterie o pizzerie che si trovano nelle immediate vicinanze di casa mia e del mio ufficio, nei quali non riesco a entrare se non accompagnata. Ok, concordo con voi sul fatto che sia più bello frequentare questi luoghi in compagnia, ma sapere di doverlo fare per forza, perché altrimenti per me c’è il divieto d’accesso (eh già, che ci crediate o no, per noi che ci muoviamo su due ruote un gradino troppo alto rappresenta un vero e proprio divieto d’accesso), è piuttosto frustrante.
Eppure basterebbe poco per trasformare questa frustrazione, che purtroppo non riguarda solo me, bensì tutti coloro che hanno una disabilità fisica; una rampa, un gradino più basso, una fessura collocata una decina di centimetri più giù, sarebbero sufficienti per dimostrare che una città e un mondo alla portata di tutti non sono un miraggio o un’utopia, ma possono effettivamente esistere!
Ormai siamo nell’ultimo trimestre del 2022, sono almeno trent’anni che sento parlare di abbattimento delle barriere architettoniche, accessibilità, inclusione, ma come sempre tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, purtroppo le parole non corrispondono quasi mai ai fatti; non sarebbe forse ora di invertire questa tendenza? Chiedo per un’amica, che dopo così tanto tempo è ancora convinta di avere gli stessi diritti (e doveri) dei normodotati, ovvero di coloro che non usano le rotelle per muoversi, ma dovrebbero imparare a usarle per progettare e creare una società a misura di tutti, della quale tutti possano sentirsi parte attiva, a prescindere dalle loro condizioni psicofisiche.