Emilio Praga nacque a Milano nel 1839, a Gorla per l’esattezza, da una famiglia facoltosa. Questo gli permise di coltivare le sue attitudini artistiche (oltre che poeta fu pittore) e di visitare l’Europa, in particolare Parigi. Fu proprio nella capitale francese che, durante un suo soggiorno, nel 1857, fu pubblicata la raccolta lirica “Le Fleurs du mal” di Baudelaire. L’editore (Auguste Poulet-Malassis) fu subito travolto dalla censura e l’opera suscitò scandalo e proteste per i suoi contenuti (immorali, così vennero definiti) ma anche segnò una frattura fra ciò che fu e ciò che poteva essere la poesia.
Il giovane Emilio ne rimase folgorato.
Ciononostante la sua prima raccolta, “Tavolozza”, era più vicina a toni impressionistici. Due anni dopo uscì “Penombre” (1864) dove le citazioni all’opera simbolista sono evidenti ma non autoreferenziali. Il simbolismo scapigliato è figlio ribelle di quello francese, i simboli servono per svelare il reale è la condizione umana che resta sospesa fra questo e il suo potenziale.
Proprio in questa raccolta è contenuta “Preludio” che possiamo considerare uno dei manifesti della poetica scapigliata.
È una lirica di rara bellezza e potenza espressiva, composta da otto quartine di cui i primi tre versi sono endecasillabi piani e il quarto è alternativamente un settenario o un quinario. Bellissimo espediente che spezza la monotonia del ritmo con eleganti accelerazione e ne esalta la crudeltà dei contenuti.
- Noi siamo i figli dei padri ammalati:
- aquile al tempo di mutar le piume,
- svolazziam muti, attoniti, affamati,
- sull’agonia di un nume.
- Nebbia remota è lo splendor dell’arca,
- e già all’idolo d’or torna l’umano,
- e dal vertice sacro il patriarca
- s’attende invano;
- s’attende invano dalla musa bianca
- che abitò venti secoli il Calvario,
- e invan l’esausta vergine s’abbranca
- ai lembi del Sudario…
- Casto poeta che l ‘Italia adora,
- vegliardo in sante visioni assorto,
- tu puoi morir!… Degli antecristi è l’ora!
- Cristo è rimorto !
- O nemico lettor, canto la Noia,
- l’eredità del dubbio e dell’ignoto,
- il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,
- il tuo cielo, e il tuo loto !
- Canto litane di martire e d’empio;
- canto gli amori dei sette peccati
- che mi stanno nel cor, come in un tempio,
- inginocchiati.
- Canto le ebbrezze dei bagni d’azzurro,
- e l’Ideale che annega nel fango…
- Non irrider, fratello, al mio sussurro,
- se qualche volta piango:
- giacché più del mio pallido demone,
- odio il minio e la maschera al pensiero,
- giacché canto una misera canzone,
- ma canto il vero!
- Siamo gli eredi del romanticismo (malato perché non ha saputo realizzare i propri ideali)
- Siamo aquile giovani che stanno per assumere un aspetto adulto
- Per questo vaghiamo nel cielo, muti, attoniti ed affamati
- Sulla carogna della poetica manzoniana (nume, potrebbe anche essere la crisi del cristianesimo in generale)
- L’arca che ci salvò è ormai solo un ricordo
- L’uomo è tornato devoto al vil denaro
- E dalla cima del monte Sinai, Mosè
- non scenderà mai (non saremo salvati da nessuno)
- Né rivedrai la poesia di ispirazione cristiana (musa buanca)
- Che è da sempre nella letteratura
- Ma stanca ormai abbraccia
- Un sudario (il telo in cui cristo è avvolto) vuoto.
- Manzoni, poeta senza peccato che tutti adorano,
- Rispettabile vecchio perso nel misticismo dei tuoi versi,
- Puoi morire ormai… è l’ora dei poeti liberi (antecristi)!
- Cristo è rimorto! (La purezza è definitivamente scomparsa)
- O Lettore che disapprovi ciò che leggi, canto la Noia (lo spleen),
- la consapevolezza di tendere al cielo ed essere costretto a razzolare nel fango
- La lotta eterna fra il tuo re, il tuo pontefice è il tuo boia,
- fra il cielo ed il fango (loro)
- Canto i versi monotoni e fastidiosi del martire e del peccatore
- E invoco i sette peccati capitali
- Che stanno nel mio cuore come i devoti in chiesa
- Inginocchiati
- Rivelo le bellezze del cielo
- E l’ideale che affoga nel fango…
- Non ridere di me fratello (il lettore nemico ora diventa intimo confidente)
- Se mi vedi piangere
- Poiché più del mio tormento interiore
- Odio il falso e il pensiero corrotto
- E quando descrivo la nostra misera condizione
- Canto il vero
Ogni parola contiene un suono che fa da incipit alla parola successiva, ne risulta un’opera dalla musicalità elevatissima che ci immerge in una danza decadente e macabra di visioni realisticamente contestualizzate nel presente (quello dell’autore). La presa di distanza dai salotti letterari dell’Italia postunitaria è evidente: lo stesso Praga anticipa le critiche definendo il lettore come ostile (nemico). Il tormento interiore (pallido demone) che divora il poeta dall’interno è frutto della disillusione degli ideali passati (romanticismo e religione) ma anche dalla società borghese che ha come unico valore l’accumulo di ricchezza. I poeti devono tendere ad un ideale più alto ma per farlo devono descrivere il vero in tutta la sua misera crudeltà.