Quali sentimenti albergano nel cuore di una coppia di novelli sposi appena rientrati dal viaggio di nozze? Non avendo esperienza personale in materia, posso solo fare supposizioni basate sui racconti di parenti, amici e conoscenti che hanno già pronunciato il fatidico sì, oltre che sulla lunga serie di libri e film d’amore che da inguaribile romantica mi sono sciroppata. Sicuramente, due giovani sposini di ritorno dalla luna di miele hanno ancora le farfalle nello stomaco, la testa tra le nuvole e i piedi che volano ad almeno tre metri da terra; di solito l’incontro con la realtà avviene gradualmente, man mano che i giorni passano i due innamorati capiscono che la vita non è tutta rose e fiori, anzi, molto spesso si viene punti dolorosamente dalle spine.
Questa è la regola, ma per confermarla esistono sempre le eccezioni, ovvero i casi in cui la vita presenta il conto ancor prima di lasciarti consumare il pasto preparato per te; così è stato per Marco Dolfin e sua moglie Samanta, che l’11 ottobre 2011, dopo appena un mese e mezzo di matrimonio, hanno scoperto che purtroppo basta un attimo di disattenzione (propria o altrui) perché il miele si trasformi in fiele.
In quel martedì d’autunno Marco è in sella alla sua moto, diretto verso l’ospedale “San Giovanni Bosco” di Torino, dove lavora da appena due settimane come chirurgo ortopedico; arrivando in senso opposto, una ragazza taglia una curva e gli piomba addosso: pochi secondi e BUM, in un attimo il medico passa dall’altra parte della barricata e diventa paziente, una lesione midollare all’altezza della vertebra D12 gli fa perdere l’uso delle gambe rendendolo paraplegico.
Superato lo choc iniziale, Marco prende atto della sua nuova condizione e insieme alla moglie cerca di capire quali sono i suoi limiti, ma soprattutto se e come si possono superare; si rende immediatamente conto che d’ora in poi la sua vita sarà in carrozzina, a questo punto l’unica alternativa è quella di impegnarsi al massimo per recuperare al più presto l’autonomia personale, professionale e sportiva, almeno per quanto possibile.
Già durante la degenza ospedaliera il giovane chirurgo piemontese usa il web per conoscere le storie di persone con una disabilità analoga alla sua, tra queste c’è anche quella di un collega che riesce a lavorare in sala operatoria pur essendo in sedia a rotelle; non appena i due riescono a incontrarsi, Marco ha la conferma di ciò che in fondo ha sempre saputo: l’incidente gli ha tolto l’uso delle gambe, non la possibilità di continuare a esercitare la professione che ama e per la quale ha tanto studiato. Attraverso una carrozzina elettronica verticalizzante, anche un paraplegico può assumere la posizione eretta; aggiungendo qualche cinghia in più e un joystick da azionare con il gomito si rispettano poi i criteri di sicurezza e gli standard igienici necessari per entrare in sala operatoria ed effettuare un intervento in condizioni ottimali, senza bisogno di chiedere aiuto per gli spostamenti; certo, il chirurgo in carrozzina ha tempi di preparazione un po’ più lunghi rispetto ai suoi colleghi e la posizione non più abituale fa sì che accusi maggiormente la fatica, ma per i pazienti non cambia assolutamente nulla, tanto che finiscono quasi per dimenticare la disabilità del medico.
La disabilità di Marco passa in secondo piano anche grazie ai suoi collaboratori e colleghi, che ne facilitano il reinserimento in organico non facendogli mai pesare la sua condizione e che ancora oggi sono disponibili a sostituirlo ogni qualvolta ha necessità di assentarsi per coltivare un’altra sua grande passione, il nuoto.
Già prima dell’incidente Marco amava lo sport e la competizione, ma il nuoto per lui era semplicemente un ricordo d’infanzia, di quando un paio di volte alla settimana andava in piscina per fare qualche vasca in compagnia degli amici, niente di troppo serio… Al momento di pianificare la sua seconda vita non ha dubbi, anche da seduto continuerà a fare sport; in un primo tempo, quand’è ancora ricoverato in ospedale, si avvicina al tennistavolo (o ping pong, che dir si voglia), ma capisce quasi subito di non riuscire ad essere competitivo, i suoi avversari sono tutti molto più forti. Scartata questa opzione, il pensiero va immediatamente al nuoto, che gli è utile anche dal punto di vista riabilitativo e gli permette di trascorrere qualche ora fuori dalla “carrozza”.
Così iniziano gli allenamenti a Torino, poi le gare regionali, quindi le nazionali; proprio in occasione di una gara nazionale, Marco incontra Alessandro Pezzani, suo attuale allenatore, e quindi si tessera con la Briantea84, una società che ha sede a Cantù (CO) ed è nata proprio nel 1984 per promuovere il basket in carrozzina, espandendo poi l’attività anche in altri ambiti sportivi quali il nuoto. Poiché la sede della società dista 170 chilometri da Chieri (TO), la cittadina in cui risiede con la famiglia, il nostro chirurgo nuotatore è costretto ad allenarsi a distanza: tre o quattro pomeriggi alla settimana si reca in una piscina che si trova a trenta minuti di macchina da casa sua, entra in vasca e nuota per circa un’ora, seguendo alla lettera il programma settimanale di allenamento che mister Pezzani gli trasmette via e-mail; allenarsi in questo modo è indubbiamente faticoso, soprattutto per chi deve conciliare lo sport con il lavoro e la famiglia (che dal 2014 si è allargata con l’arrivo di due gemelli), ma si sa che la tenacia e la costanza vengono sempre premiate, in questo caso addirittura con una convocazione in Nazionale per partecipare alle sue prime Paralimpiadi, quelle di Rio 2016.
La convocazione era proprio l’obbiettivo di Marco, che già per il semplice fatto di essere presente a questo grande appuntamento ha realizzato il sogno che aveva da bambino; è vero, lui a quei tempi pensava alle Olimpiadi per gli atleti normodotati, forse nemmeno sapeva che i Giochi esistono anche nella “versione per disabili”, ma poi la vita (quasi a volerlo risarcire dopo avergli tolto l’uso delle gambe) gliel’ha fatto scoprire e gli ha permesso di viverli da protagonista. La trasferta brasiliana è stata per lui un’esperienza molto emozionante, sebbene gli sia valsa soltanto una medaglia di cartone, ovvero un quarto posto nei cento metri rana; per lui non hanno suonato l’inno, ma l’orgoglio di rappresentare i colori dell’Italia l’ha sentito comunque.
Chissà se nel 2020 Marco potrà volare a Tokyo e continuare a tenere alta la nostra bandiera a forza di bracciate… Noi glielo auguriamo di cuore! Mentre i suoi allenamenti proseguono a ritmo sostenuto, speriamo che egli non smetta mai di impegnarsi al massimo in tutto ciò che fa, senza porsi limiti e cercando di dare sempre il meglio di sé; del resto non gli chiediamo niente di nuovo, la sua filosofia di vita è proprio questa, si tratta solo di continuare a metterla in pratica, magari insegnandola anche ai suoi due bimbi e a tutti coloro che non hanno ancora trovato la forza e gli stimoli giusti per reagire positivamente agli scherzi del destino.