Ieri 17 giugno 2020, alle ore 20.45, è andata in scena allo stadio Olimpico di Roma la finale di Coppa Italia tra Juventus e Napoli; in una gara non particolarmente entusiasmante, come si evince dal risultato di 0-0 al termine dei tempi regolamentari, a trionfare sono stati i partenopei in seguito ai calci di rigore.
NAPOLI- La rinascita targata Gattuso
La vittoria degli azzurri del vulcanico presidente Aurelio De Laurentiis ha un nome ed un cognome ben precisi: Gennaro Gattuso; al tecnico il grandissimo merito di aver saputo ricomporre i cocci raccolti dalla gestione Carlo Ancelotti e di aver riportato un grandissimo entusiasmo sia nella piazza, parsa oramai rassegnata, sia all’interno dello spogliatoio, caratterizzato da numerose e profonde spaccature. I meriti di Ringhio, sono da considerarsi dunque il frutto di numerosi aspetti che vanno al di là delle scelte tecnico- tattiche e conciliano con l’enorme spessore umano da lui dimostrato nel corso di tutta la carriera; passione, dedizione, cuore, grinta ed empatia lo hanno reso un vero e proprio condottiero, amato dalla città ed immensamente rispettato dallo spogliatoio.
Parlando della partita, il Napoli si è dimostrato squadra attenta ed organizzata, capace di negare ai bianconeri ogni spazio, cercando poi di trafiggere l’avversario tramite veloci contropiedi, abilmente orchestrati dal tridente Callejon, Mertens ed Insigne; nella seconda frazione, invece, i campani hanno attaccato con maggiore veemenza, sfiorando il vantaggio in più occasioni, una su tutte quella nata da calcio d’angolo nel corso del tempo di recupero, con un palo clamoroso colpito da Elmas da distanza ravvicinata, complice anche una super parata di Buffon. La vittoria, ampiamente meritata per quanto si è visto in campo, è finalmente arrivata in seguito alla lotteria dei rigori, a coronamento di un percorso iniziato da poco, il quale non può che indurre all’ottimismo.
JUVENTUS- Caccia al colpevole
Di tutt’altra natura, invece, l’aria che si respira in casa bianconera, i cui tifosi e giornalisti si stanno adoperando alla ricerca del colpevole in seguito alla clamorosa sconfitta, delusi dal rendimento complessivo della squadra nel corso dell’intera stagione sin qui disputata. Il primo ad essere finito sul banco degli imputati è senza ombra di dubbio Maurizio Sarri, reo di non aver saputo trasferire nella pratica il proprio credo calcistico ed il cui feeling con lo spogliatoio e la piazza sembra non essere mai sbocciato; al tecnico toscano va però tutta la mia compassione e comprensione, considerando la ridotta portata e le caratteristiche tecniche della rosa di cui dispone; fossi nei suoi panni, sarei senza dubbio in preda ad una crisi di panico qualora, girandomi verso la panchina, disponessi di elementi quali Rabiot, Khedira, Ramsey, De Sciglio e Bernardeschi, tanto per citarne alcuni, il cui valore tecnico non si discute, ma da considerarsi oggettivamente inadeguati all’attuazione del suo stile di gioco, caratterizzato da rapidi e veloci transizioni nello stretto. In seguito poi agli infortuni di Chiellini, Higuain e Khedira, sono stati aggregati in prima squadra l’attaccante Vrioni ed il centrocampista Muratore, prelevati dalla primavera per far fronte all’emergenza. Alla luce di questa ben più ampia analisi, la quale tuttavia non esenta Sarri da ogni colpa, il principale responsabile della crisi bianconera è da identificarsi nella persona di Fabio Paratici, all’apparenza abile dirigente, il quale ha però dimostrato evidenti difficoltà nello stabilire una linea coerente di mercato, in seguito all’addio del ben più audace Marotta, attualmente al servizio dei rivali dell’Inter; il responsabile delle operazioni bianconere, sin dalla sessione estiva di calciomercato è stato incapace di trovare una collocazione ai diversi esuberi, tra cui menzioniamo il guerriero croato Mandzukic ed il portiere Perin, obbligando il tecnico a relegare fuori rosa più di qualche nome assai blasonato per poter dirigere al meglio le sedute tattiche di allenamento. Nel mese di gennaio, poi, nessuna operazione in entrata per puntellare i vari reparti in evidente difficoltà; basti pensare ad esempio al fatto che Cuadrado, di natura ala destra, è stato riadattato in qualità di terzino in assenza di sostituti, in seguito all’infortunio del brasiliano Danilo oppure ancora al fatto che le uniche due punte di ruolo in squadra siano “il Pipita” Higuain e Cristiano Ronaldo, decisamente troppo poco per chi ambisce al massimo del profitto in tutte e tre le competizioni. A ciò si aggiunge poi un centrocampo le cui caratteristiche principali sono lo scarso dinamismo e tempismo negli inserimenti e l’evidente difficoltà nel verticalizzare, cioè tutto l’opposto rispetto alla filosofia dell’allenatore. Molte note dolenti dunque nel corso della finale di ieri, ad eccezione dell’unico ed inimitabile Gigi Buffon, i cui 42 anni suonati sembrano scritti solo sulla carta, protagonista in più di qualche circostanza con interventi salvifici dal quoziente di difficoltà elevatissimo, in poche parole una garanzia. CR7, invece una delusione totale; al posto di porsi al servizio della squadra, si ostina in giocate prevedibili e forzate, lento, macchinoso, impreciso, egoista e mai incisivo, vuole prendersi il centro della scena a tutti i costi, finendo per fare più danni che altro; il 5 in pagella datogli dalle più famose testate sportive italiane, appare molto più che generoso. Giunti a questo punto resta da chiedersi una sola cosa: è tutta qui la Juve targata Sarri? Fossi un tifoso Juventino mi preoccuperei … e mica poco.
La finale di ieri sera, ha visto dunque fronteggiarsi due squadre che stanno vivendo momenti molto differenti: il Napoli, rinvigorito dalla cura Gattuso, vincitore del primo trofeo da allenatore in carriera e la Juventus, i cui molteplici problemi sommersi stanno irrimediabilmente venendo a galla, in vista di un futuro più che mai tormentato; c’è poco da stare tranquilli, in casa bianconera si respira aria pesante.
Samuele Marcon