Ripigliamo tutto il fiato che era rimasto sospeso da casera For sulla bella valle. Riprendiamo anche il cammino, curiosi di cosa ci aspetta. Saranno prati e sassi faccia – a – vista, bardèis di mughi, salitine docili e abbordabili. Sarà che diremo “Ciao, veh!” all’italico stivale e, nella forma di un lungo e zainettato cordone di escursionisti accaldati, saremo una sorta di “richiedenti asilo turistico – escursionistico” di ultima generazione. Scappiamo dalle mille contraddizioni dell’Italia tanto amata ma matrigna ispida; per farlo, alziamo la gamba e scavalchiamo un aereo spali di cunfìn tra due pascoli. Per non prendere scosse (il spali è percorso da corrente elettrica che, al tocco, disincentiva l’espatrio alle signore mucche tricolore a passòn da quelle parti), l’alzata di ginocchio è agevolata da una mini – scjala mussa dotata di un paio di gradini e posta a cavallo della suddetta recinzione.
Qualcuno, tra noi numerosi viandànts, nota un aspetto particolare e ci avverte: “Cjalàit câ, se si va verso l’Austria nissùn problema ma…immaginate quando faremo il percorso contrario e riscavalcheremo recinto e gradini: mettendo il piede su quello posto sul versante italiano, la nostra pianta andrà a poggiare su UN FIAR DI CJAVAL incastonato sulla pestata d’appoggio del scjalìn!!!!”. Qualcun altro amaramente aggiunge, con dolorosa ironia: “Cuisà se il fiàr lu â mitût un ’Taliàn o un ‘Strìac…tant par visâ che il lasciate ogni certezza, Voi c’entrate al è un monito mai inattuale, ca di nô, cun tancj augurios e buena furtuna!!!”.
Momento di silenzio. Novantanove persone e silenzio. Poi, meno male, riesplode l’allegria e ritorna l’entusiasmo. Sì, perché, se stiamo marciando, vuol dire che abbiamo ancora una meta, che non ci accontentiamo dei bei panorami e delle malghe viste sino qui.
E’ ora di svelare la destinazione cui il Prof. tiene particolarmente a condurci: è il monte Corona! Ecco il motivo del titolo di questo tripartito articolo! Il Corona è una bella montagna pelosa ed erbosa, soffice e dolce da risalire fino alla sua cima che, comunque, giunge a solleticare i piedini del Buon Dio a quota 1832 metri.
Un che di sacro c’è sempre, quando si sale, anche se le quote delle nostre montagne furlàne non sono certo da Everest. Sali e ti lasci alle spalle la normalità quotidiana e il formicolìo umano impazzito. Sali e non sai bene cosa c’è oltre quel masso, dietro a quella nuvola; sai solo che stai compiendo un percorso, che ogni passo ti costa tutte le attenzioni del mondo per non scivolare, per non finirla lì; magari per non tirar con te nella tua caduta altri che poco c’entrano e che verrebbero a pagare il prezzo della tua debolezza e fragilità. Eppure sali, sali e il peso della fatica diventa ali, leggerezza, attrazione forte forte verso la prosecuzione, verso quella terra promessa rinfrescata da aria fina. La legge della gravità va all’incontrario e ti senti attratto dall’alto, mentre il basso sbava e vorrebbe risucchiarti.
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Ogni tanto ci chiediamo cosa mai può passare nella mente di chi va a fare escursionismo estremo, arrampicata, robes pericoloses se pensieri come quelli testè descritti e confessati balenano nelle teste di noi camminatori da parco del Cormor e difficoltà elementare!!!
Meglio godersi l’entusiasmo che fa svolazzare con la fantasia ma… ricordarsi anche del qui – e – ora: riportiamo la nostra attenzione semplicemente sui nostri cinque sensi e riallacciamo, più sereni, il dialogo con il principio di realtà. I nostri piedi ci raccontano di sassi e lastre di pietra che spuntano dal terreno. Quanti, guarda! Siamo in una zona preziosa e particolarmente cara a geologi, cultori, appassionati e curiosi del lito – mondo. Qui – ed è terra austriaca – c’è una miniera di fossili! Ci son tracce visibilissime di alghe e molluschi: un comune mortale non se ne accorge e ci mette traaanquillamente piede e pedula sopra; un mortale che ha prestato almeno mezzo orecchio al grande Prof. Venturini aguzza la vista e scopre un mondo impacchettato in ogni scheggia che calpesta. Ah, allora quelle forme a “sezione di bucatino” con cerchi concentrici sono alghe! Idem per quei ghirigori nastriformi che sembrano la prima traccia di matita di un bambino! E quelle forme a cuore allungato con asse di simmetria parallelo all’asse delle ics??? Molluschi a due valve???
Alzi la mano chi di noi non fa un nodo al fazzoletto e non si ripromette – la pròsima volta – di approfondire su qualche libro il magico mondo della geologia e dei fossili. Quando saremo di ritorno al passo Pramollo, in zona laghetto e parcheggio delle nostre auto, saremo esauditi perché il Prof. tirerà fuori dal bagagliaio della sua un’intera biblioteca di ottimi testi per esaudire i nostri desideri e sete di geo – conoscenza. Se questo era uno degli obiettivi del “Geoday” – cioè far venire voglia sincera e non commerciale di approfondire l’argomento e di avvicinarsi a quella scienza – si può lanciare un “missione compiuta”. Se, poi, tale ottimo obiettivo si unisce a una raccolta fondi per iniziative benefiche, documentate e tracciabilisime, che il Prof. ha avuto cuore di fare anche in questa occasione, allora possiamo ben dire che abbiamo visto uniti l’amore per il Sapere, per la Natura e per l’Uomo in una singola giornata.
Un piccolo miracolo che ancora fa credere che la Civiltà non si sia del tutto distudada, schiacciata dal lurido piede caprino e irsuto della barbarie, o dal freddo marmo dell’indifferenza o dalla nebbia stagnante della noia.
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Sarebbe bello concludere così, con questa immagine ad effetto eppur…non resistiamo al desiderio di condividere con Voi un’ultima immagine. Per farlo, dobbiamo arrotolare il nastro all’indietro e riportarci sul colmo del monte Corona. Mentre siamo intenti a guardar a terra in cerca di tracce fossili – avevamo appena abbandonato i pensieri mistici dei piedini di Dio, ricordate? – qualcuno “osa” alzar lo sguardo, attratto dal cielo di un azzurro speciale e da una croccante e vivificante arietta che coccola le guance e asciuga le vesti. Ma…cos’è quella macchia nera, là sul costone? O soi inceât, no viôt ben! Ah, ma ora le macchie sono due! E con le criniere al vento???!!! Alla faccia della visione mistica! Una via di mezzo tra un’immagine degna della Vidal (ve la ricordate, la pubblicità del bagnoschiuma, non negatelo!) e un’illustrazione mitologica che ci fa quasi meravigliare quando ci accorgiamo che quei due stalloni – neri come la notte e lucidi come di smalto – non abbiano le ali e un carretto parcheggiato da qualche parte!!!
Che abbiano perso loro il ferro di cavallo a cavallo dei confini???
Pramollo dalle mille sorprese, mandi!