Lavorenta??!! No, non preoccupatevi, non vi è sfuggita nessuna new entry nel calendario di Madona di Mont!!! Sant’Elena rimane Sant’Elena, punto. La determinazione pòstale accanto ci guida, però, in un luogo che, a dir poco, è un manuale illustrato di Arti e Mestieri. Ci troviamo ancora una volta nel territorio del Comune di Cividale, uno dei nostri pregiati e preziosi siti UNESCO. Per la precisione siamo nella frazione di Rubignacco, lungo la strada che, uscendo dalla cittadina ducale, ci porta verso il Dolce Nord – Est, quindi verso Torreano da un canto, Faedis dall’altro, tanto per nominare due centri capoluogo noti a molti di noi.
Rubignacco corre via veloce, se ci si limita a percorrere la via principale; noi, però, non abbiamo fretta e, oramai, abbiamo maturato una piccola ma utile esperienza del carattere un po’ pudico e riservato del Vecjo Friûl, tant biel e plen di monuments e testemoneancis una vora impuartantis ma che un pôc ancjmò si scuint, se al riva…Eh, no, caro! Sappiamo come sei fatto e ci piaci anche per questo! Ti veniamo noi incontro, fiduciosi di trovare segni concreti lasciatici dai Vòns, punti fermi da cui ripartire in epoche di smarrimento culturale e fragilità sociale. Basta solo abbandonare la strada dritta – facile e scontata ma simbolicamente troppo uguale e se stessa e omologante – e accogliere l’invito di percorsi alternativi. L’obiettivo/la meta, sia chiaro, rimane sempre socialmente condivisibile ma il tracciato vuol essere più originale perché ricalca le peste di antichi cammini con la consapevolezza attuale dell’Uomo del Terzo Millennio.
Per farla breve, ci addentriamo nelle laterali di Rubignacco e cogliamo la sfida di una piccola esplorazione. Tanti segni catturano la nostra attenzione ed è, in particolare, un sito a trattenerci. Si imbocca una stradina in leggera salita che sgattaiola snella tra le case; dopo poco il fondo un po’ sconnesso fa saltellare la nostra utilitaria e ci avvisa che l’abitato sta lasciando il posto ad una radura e a una zona coltivata. Siamo sui fianchi di una morbida collinetta sul cui colmo si erge, in abiti semplici e sguardo basso, la chiesetta di Sant’Elena. In realtà, per essere una chiesa campestre, non è poi di dimensioni così risicate; inoltre, dalle sue fattezze esterne lascia intendere, anche a chi non è esperto di architetture antiche, che non si trattava di un semplice pit stop in cui recitare una preghierina , interrompendo momentaneamente il duro lavoro nei campi. Lì c’era altro.
I nostri sospetti son stati subito confermati dall’occasione di essere incappati proprio in una giornata di apertura della chiesa. Dati i recenti lavori di risistemazione e dati i nuovi studi storici e artistici intorno alla stessa, si intende, infatti, portar avanti un programma con eventi ad hoc per valorizzarla e farla conoscere ai tanti che, come noi, non avevano mai avuto il piacere di mettervi piede (e occhio) dentro.
Tutto questo ce lo spiega il signor Franco; ce ne parla non senza una punta di emozione e di contentezza per il traguardo raggiunto dopo tanto impegno profuso da parte sua e di tutti coloro che, come lui, han dedicato tempo ed energie a quello che, a tutti gli effetti, a Rubignacco è considerato un “bene comune”, da custodire e far vivere.
Visto che siamo a maggio, ci verrà consentito un paragone con il Giro d’Italia: anche qui si gioisce perché c’è una vittoria di tappa, ma per vincere il Giro di fatica da fare ce n’è ancora tanta.
Ci vuole impegno costante, passione, determinazione e risorse umane e materiali anche per far fiorire di nuovo Sant’Elena tra quei campi coltivati e quegli alti alberi che le fanno ombra con tenerezza e protezione, celando la sua bellezza pulita e virginale agli sguardi dei più.
La ragione dell’appellativo scelto per Sant’Elena, cioè “lavorenta”, non sta, però, nelle considerazioni appena fatte bensì in quanto essa cela all’interno. Un vero tesoro dipinto sul muro, pur nei limiti di quel che la consunzione delle epoche ci ha lasciato e che abile e amorevole mano restauratrice ha potuto far riemergere. Nella puntata numero quarantotto racconteremo quanto ci si è apparso innazi.