Ne serbo un ricordo particolarmente vivido, come di esperienza vissuta stamane e ancora presente ai sensi. La restituisco, dunque, illuminata dalla memoria e da un cielo azzurrissimo.
Mezz’ora di salita in groppa a tenaci cavalli – motore con ruote, poi l’arrivo in fortezza. “Atterriamo” – è il caso di dirlo – su uno spiazzo erboso a quota 980 metri; lì troviamo subito rovine di edifici un tempo adibiti a caserma e ricoveri vari. Dal vano di una finestra di quello più grande e, ahimè, più disastrato e senza tetto, sbuca sinuoso il tronco di un curioso albero, a ricordare che la Natura, dopo che l’Uomo ha fatto fuochi e fiamme e il diavolo a quattro, lenta e inesorabile si riprende tutto, coprendo ogni manufatto con la sua inarrestabile rete di radici fitte, di spore frenetiche, di humus grasso, di bestiole infaticabili che si annidano, di insetti che scavano, di foglie che cadono e si sovrappongono, di fusti che si stagliano aerei…insomma, di una Vita che cresce in tutte le dimensioni.
Due componenti dello staff, addetti a sorvegliare il buon andamento della visita, mi invitano a far quattro passi nella boscaglia: lì c’è il tesoro! Verrebbe sicuramente definito “monumento vegetale” ma, a vederlo, il primo accostamento che viene in mente è quella dell’albero – piovra!!! Radici nervose come tentacoli che affondano con una fatale presa nel terreno. Si tratta di un signor frassino: ma quante ne avrà viste? La sua postura è a dir poco inquieta e parla da sola.
Indugerei nell’osservazione ma è ora di proseguire, altrimenti si rischia di tornar a valle col buio. Dal piazzale erboso sale una stradina che richiede cinque/dieci minuti di cammino.
A poco a poco, dopo i primi passi già si scorge la struttura del Forte. La sua nascita risale al 1910. Dopo più di cento anni, in questi disorientati anni Duemila e passa, quelle gallerie, quelle pietre ancora parlano a chi le percorre e si pone in loro ascolto.
Così facciamo noi gitanti, camminando come formichine nella pancia della costruzione, attraverso un tunnel che sbocca su stanze sfondate e lascia intravedere tubazioni sviscerate chissà da quale accadimento. Cogliamo l’occasione di pochi gradini che salgono verso un’apertura luminosa e, facendo capolino a mo’ di talpa in fase di emersione, ci ritroviamo sul tetto della fortificazione, cioè su un piazzale sommitale decisamente ampio su cui svetta il Tricolore. Che vista emozionante! Il Friuli, da quassù, pare più docile e arrendevole, puar picinin: un bel pezzo del suo territorio si offre facilmente e senza veli al nostro sguardo. Valle del Lago nella sua interezza, poi gli ingressi alla Val del Fella e alla Carnia, con la confluenza But – Tagliamento: dalla cima del Monte Festa il Friuli sta intuna man!
Metto a fuoco e, più guardo, più scorgo e mi accorgo di nuovi elementi del paesaggio che si dipana a quote basse: una palude, la zona dove c’era un aeroporto militare, chiesette e pievi, la centrale di Somplago, centri affollati da abitazioni, periferie con architetture contemporanee più o meno dissonanti e alcune in stato di abbandono…e ancora strade, autostrade, ferrovie, paesini aggrappati a qualche costone.
Mi si apre davanti un universo davvero denso, da leggere con cura e attenzione , ovviamente…biel lant.
Un pensiero a quanti vorrebbero vivere l’esperienza sin qui descritta ma son vinti dalle barriere architettoniche costituite dal tratto a piedi necessario per arrivare fino alla fortezza e alla cima : si sta mettendo a punto un software che consentirà una visita virtuale all’edificio e zone limitrofe. Segno di rispetto e attenzione per chi patisce difficoltà di movimento ma ha lo stesso vostro e mio diritto di vedere e conoscere il territorio.
La Pace tra gli uomini nasce anche così.