Ci ritroviamo in questo fine settimana così difficile e doloroso, date le stragi di Parigi.
Noi che amiamo la Vita come, crediamo, la ami in maniera altrettanto intensamente qualsiasi altra creatura di senno e discreto equilibrio…
Noi che, percependo il timp c’al passa tant che un folc, cerchiamo di godere del Creato e di appropriarci, simbolicamente, di qualche suo frammento in tutte le occasioni in cui quel capolavoro lo possiamo guardare da vicino, conoscere, attraversare con le nostre membra e le nostre piccole forze…
Noi, oggi, avremmo gran voglia di starcene in disparte in silenzio, lontani da tutti i video di U Tube inneggianti alla conquista dell’Occidente e a tutti gli esperti di fantapolitica da patatina fritta, colpevoli di non averla mai presa sul serio, questa benedetta politica.
Facciamo attenzione all’uso del termine “benedetta”, come pure a quello di “santa” o simili. E’ che la Marilenga, nel momento in cui adopera l’aggettivo “benedèta” con tanto di “a” aperta e infastidita, lo fa per esprimere quantomeno esasperazione.
Possibile che in questo 2015 siamo ancora tanto lontani da un livello accettabile di rispetto per l’altrui vita? Che si ammazzi la gente come copâ polèçs? Che, addirittura, si rischi di abituarsi a convivere con la violenza, sia quella somministrata con regolarità per via mediatica, sia quella 3D per le strade, nei ristoranti, nei palaconcerti???
In queste ultime settimane, ignari di quel che sarebbe successo a pochi passi dallo Stivale (mentre il Mediterraneo continuava a traboccare e mai troppo lontani cieli sibilavano di bombe battenti bandiere di ogni colore), avevamo lodato San Martino e lo avevamo nominato “meteorologo dell’anno”, date le meravigliosamente tiepide temperature che ci aveva donato nella sua famosa e omonima estate. Aerei azzurri incredibili e un cjaldut di che mai.
Nei limiti del possibile abbiamo cercato di vagabondare – si fa per dire – a destra e a manca, in modo da fare il pieno di biela stagjion e rimandare ancora per un po’ l’avvento del freddo e delle nubi di pioggia.
Nelle prossime puntate avremo, cari Amici, il piacere e l’onore di condividere con Voi quei quattro scatti arrangiati con la nostra macchinetta da poche pretese ma fedele compagna di viaggio.
In questa occasione, invece, sentiamo davvero il bisogno di fare un repulisti e netâ via pinsirs e peraulis di massa e di tornâ nome a ce che al coventa par di bon. Ci spiegavano a scuola – ricordate? – che, in un percorso a ritroso, le varie forme di energia si rimettono in misura quasi completa a quella primaria, il soreli.
Ed è proprio con il soreli che contrassegniamo la puntata numero settanta di Biel Lant: ma è un soreli che nol riva plui a stâ cuiet, al è un soreli cul cûr sglonf par i omps che no san fâ atri che copasi, copasi, copasi.
Bum! Sclopât. Il soreli sclopât al susta e al è dut rôs di ràbia e displasê. Chei puars omps a continuin a barufâ l’un cun l’atri…a cjalaiu di dongja, a fasin pora; a cjalaiu di lontan, a samein ridicui e a fasin pietât ai clàs.
Il soreli al sclopa e si innea tal piçul mâr di Grau. E’ Riva Nazario Sauro, è la stupenda Grado, ma potrebbe essere una costa qualunque, una riva qualunque. Il sole è sempre quello e vede sempre le stesse tragedie. Per un momento l’esplosione di luce, colore e dolore sembra annichilire e far diventare di sale i passanti. Ma è solo un momento, ognuno riprende subito a vivere la sua personale storia.
Indugiamo sulla panchina chiedendoci anche noi – scimmiottando un illustre filosofo del passato – se domani l’Umanità avrà un’altra chance per provare a rimediare alle infinite malefatte, se il sole riemergerà di nuovo da quel piccolo mare di Grado che si fa luogo assoluto e simbolo temporaneo del mondo intero.