Carissimi Lettori, rieccoci dopo una lunga sosta nella Villa de Claricini a Bottenicco di Moimacco. Il nostro biel lâ si era fermato ad osservare, costernato, il mondo ch’al va fûr di cjâf simpri plui. Abbiamo udito notizie degne di un libro di storia del medioevo e ci siamo chiesti – tant par no restâ inseminîs di tanta tristeria – come può essere? Come può essere che nel Duemila e passa siamo a piangere innocenti torturati (torturati???? Ma si rindìno cont???? Un grido infinito di dolore e pietà tenga sempre desto lo sdegno morale e ci impedisca di assuefarci alla violenza che, ogni giorno, riempie tv, giornali e notiziari nelle sue sempre nuove forme)? Ovviamente, domanda che trova sin troppe risposte, nessuna delle quali minimamente convincente.
L’uomo sembra non essere fatto per la pace e per il godimento del bello e del buono che sa creare e che riesce a cogliere da Madre Natura. Ce pecjât.
Con sconforto ci teniamo il nostro banale ma micidiale interrogativo in tasca e, dopo un periodo di silenzio e stasi, riprendiamo il nostro piccolo andare.
Brividi e disgusto non vogliono proprio darci tregua; sentiamo, allora, bisogno forte di tornare alle cose semplici ma profonde, essenziali, quelle che, per intenderci, danno calore e vicinanza, quasi senso di protezione e appartenenza.
Ad esempio andare nelle case di gente amica, ricevere bon acèt, sentirsi attorniati da persone con intenzioni buone e desiderio di condivisione.
E’ quel che accade tutte le volte in cui si va trovare un vecchio amico o qualche parente che amiamo.
Emozione simile può, però, capitare di viverla – per lo meno nei suoi aspetti di sincera accoglienza – anche in altre occasioni che auspichiamo essere sempre più frequenti. Ci riferiamo, ad esempio, a quando la famiglia Copetti di Leproso di Premariacco (UD) ha desiderato aprire le porte del suo giardino ai compaesani e vicini per condividere con loro il piacere della nuova progettazione della suggestiva area verde antistante la casa di abitazione.
Ringraziamo i signori Copetti riconoscendo che non è da poco e non è da tutti far entrare frotte (eh, sì, perché eravamo in parecchi) di gente a trotterellare a tôr pa’ braida di cjasa.
Invece eravamo lì, sia gli amici sia i perfetti sconosciuti, tutti convenuti grazie anche all’opera meritoria del FAI. Lo stesso architetto progettista delle cd. “stanze in braida” era presente e pronto a spiegarci quell’opera d’arte vegetale in forma di giardino che, fino a pochi mesi prima, forse era un seminativo o un semplice prato.
Un trattamento coi fiocchi, insomma, battezzato con un brindisi finale che ci attendeva sotto il portico. Altrochè chiusura e diffidenza tipicamente furlane!
Poche righe fa ci auguravamo che si riaprissero di nuovo le porte ai vicini di casa per il motivo evidente che bisogna reimparare a far rete e gruppo, per evitare l’avanzante alienazione e sradicamento. Non ci si conosce più, ci si parla sempre meno, si è sempre di corsa e in partenza verso un altro “dove” mentre quello che accade del e nel proprio luogo di residenza diviene marginale, poco importante, quasi superfluo. Il tutto, quindi, sia dal punto di vista sociale che paesaggistico: che ci sia una famiglia indigente, un anziano solo, un ragazzino disabile o, per altro verso, che ti piantino davanti al naso un palo dell’alta tensione grande come la Tour Eiffel o che ti costruiscano una schiria di villette dove, invece, sarebbe stato meglio conservare il verde e promuovere il recupero degli edifici esistenti…boh? Chi se ne accorge più? Reinnamorarsi del proprio ambito socio – territoriale e farsene carico, ognun come c’al pô. Questo sarebbe il passo da fare a fronte di un panorama attuale in cui le comunità stanno sfumando, i paesi sono dormitori, la funzione sociale di aggregazione e scambio è massimamente attuata nelle corsie dei grandi centri del commercio e dello svago, in alternativa allo schermo di un tablet.
Vi siete accorti che neppure i festini di compleanno dei bimbi delle elementari (pardòn, primaria) si fan più in salotto?
Ecco perché siamo stati doppiamente bene nel giardino Copetti: ci sentivamo invitati speciali per una festa e il motivo del festeggiare coincideva con il contenitore dei convenuti: si fa festa perché si è tutti qui, in una casa che per una domenica intera diventa un po’ casa di tutti i presenti. Che bello!
Dimenticavamo: avete visto che capolavoro, in foto???