Rieccoci qui, carissimi Amici, dopo un mesetto di latitanza errabonda e un po’ confusa. Biel Lant, abbiamo mosso pochi, timidi passi, quasi a sondare nuovamente un terreno che, da sicura e ferma certezza che era, percepivamo di nuovo come lunare e poco battuto. Perché questa spiacevole sensazione? Siamo a pochi giorni dal Natale, periodo per eccellenza fatto di luci, colori, atmosfera più festosa rispetto al normale (se non altro per i supermercati traboccanti di roba biela e lusinta), eppure…aleggia sul cjâf una cappa maleodorante e opprimente: vuera, int màta, sanc, puarìns inocènts copats a crût, immancabile inondazione mediatica che, prontamente, ci porta quasi all’interno delle numerosissime scene di violenza e delirio che, quotidianamente, il mondo ospita. L’omp al è chest e pôc al cambìa: la storia si ripete, l’Età di Mezzo ritorna con le sue aberrazioni e noi, vecchi di duemila(per alcuni) e passa anni di storia, stiamo rischiando di fare il callo a cotanta tristèria. Per tranquillizzare le nostre coscienze, speriamo pigramente che la ciclicità del Tempo porti anche a nuovi Rinascimenti, magari accelerati, dato che adesso Tutto (s)corre più in fretta, a suon di bit, di boOm, di click. Sperìn. Ma è sufficiente “sperare”? Che sia, invece, giunto il momento di rimetterci sui libri, umilmente, a studiare e a seminare ancora qualcosa in questi nostri cervelli sècs e pustòcs? Perché non fare anche uno sforzo in più, cioè provâ a lustrâ con emolliente il cuore o qualsiasi altro muscolo capace di com – patire i mali del mondo, specchio dei nostri?
Per la Chiesa Cattolica oggi si apre il Giubileo Straordinario della Misericordia; per tutti si presenta una buona occasione per riflettere su quanto l’Uomo fatichi a convivere con gli Altri Uomini e si ostini a gridare il suo presunto potere inchiodando sulla croce propri simili inermi.
Gran bella sfida e prova morale: come si può avere misericordia per i sasìns, per chi pratica la violenza nelle sue varie forme, anche per chi non la condanna e, pure, per chi la fomenta e la incoraggia?
Se Pace e Giustizia son al pari delle grandi utopie, diventa allora sforzo titanico la capacità di comprendere davvero la miseria umana e di accoglierla anche nelle sue sfumature più crudeli.
Bòn, o vin capît, vonda prèdicjis. Biel lant, dulâ lino cumò? Nella collezione di esperienze fatte quest’anno a tôr pal Friûl, ci viene tra le dita…Tamàu.
Timau, via della montagna, via della Carnia, su su verso Paluzza e poi ancora oltre, seguendo i cartelli verso il confine, verso l’Austria e il Passo di Monte Croce Carnico.
Timau caput mundi. Timau finis terrae. Timau limes.
Li’ finisce (inizia?) il Friuli, l’Italia, da lì si dipanano sette o più bei chilometri di strada in salita per arrivare a quel benedetto – anzi – maledetto passo, teatro di conflitto durante la Grande Guerra, quella che continuiamo a scrivere con la “Gi” maiuscola solo perché è nome proprio.
Da quelle parti c’è quello che chiamano “museo a cielo aperto”, anche se il cielo aperto fa pensare a qualcosa di fresco, azzurro, profumato e bello, non certo al mattatoio di pallottole, granate and co. Ce n’è uno che tutti conoscono, di museo, fatto di muri e di porta, a Tamau, così come c’è il Sacrario, poco più in su, e i cannoni parcheggiati che, no si sa mai, a puèdin stâ simpri ben…
Ma noi facciamo tappa prima del Sacrario e prima della salita al passo; lasciamo le nostre quattro ruote proprio accanto al museo della Grande Guerra, nel comodo piazzale che funge anche da parcheggio pubblico. Quel che ci incuriosisce e ci attira non sono i reperti bellici – Timau e “turismo di guerra” in questo centenario sono un binomio inscindibile e ovvio – ma la grande gleseona attigua al museo.
Chiesona è dir poco: per chi ha presenti le dimensioni dell’abitato di Timau, l’edificio sacro ha una imponenza notevole. No tu puedis fâ di mancul di viodilu!
Non è l’impellenza – pur rispettabilissima – della Fede che ci attira all’interno della chiesa ma proprio la sua mole. L’aspetto architettonico rivela interventi recenti, non ci attendiamo di certo un interno barocco e tanti stucchi e statue lignee, ma ci chiediamo cosa avesse animato la sua prima edificazione. Ci raccontano che la Chiesa di Cristo Re nasce nel maggio 1945, quando cosacchi e tedeschi battevano in ritirata e forte era il sentimento di resurrezione. . I lavori coprirono gli anni dal ’46 al ’64 e l’ultimo rimaneggiamento a scopo conservativo risale proprio all’estate appena trascorsa.
Entriamo, ci soffermiamo. Nella sobrietà e nei colori tenui dell’interno il vuoto prevale sul pieno; la dimensione dell’altezza predomina e ci solleva impercettibilmente. Il nostro sguardo cerca istintivamente dei riferimenti cui ancorarsi: la fonte battesimale, la Via Crucis, l’altare. E la crôs??? A casa di Cristo dulâ isal il Paron di cjasa??? Allunghiamo la gittata del colpo d’occhio, poi allarghiamo il campo visivo, infine proviamo in modalità sedici noni: velu lì che Al è! Grande grande grande, tanto grande per comprenderlo con un solo battito di ciglia!
Il Crist plui grant dal mont! Beh, proprio del mondo non ne siamo certi, ma del mandamènt forse sì, d’Europa pure!
Straordinario e…gigante! Un Cristo alto, forte, lineamenti netti e scolpiti, carnagione luminosa e con il profumo del legno, così piacevole e buono, soprattutto per chi in montagna ci va ma non ci vive e, per la maggior parte dei giorni dell’anno, respira altri odori, magari frammisti a scarichi di automobili o nebbia tacadiça che ristagna.
Trentatrè quintali di Cristo appeso, dodici metri di altezza per sei e cinquanta di apertura braccia; quasi un metro il diametro del capo. Nonostante ciò no si pues di che al è grant e gruês: scarno e sofferente, stanco di questo infinito ripetersi di cattiverie delle Sue formiche – uomo. Sembra dire, tra un sopracciglio e l’altro: Vonda, no? Vonda copâ e copasi! Ma no viodeso, ce tant patiment par nia??? E ce coventavie fa fur che agnei, tra i quali i più recenti (macchè! Chissà in questo preciso istante quanti NN vengono ammazzati o, comunque, fatti soffrire) degli esseri umani ancor più degni di essere presi in carico e protetti da tutti, vale a dire chei puarìns della strage nella comunità dei disabili in America?
Ma a cui giovie? Ce coventie?
Biel lant, o stin ancjmò uchì, a Tamau, in Granda Companìa.
Misèreo cordis.