Ci eravamo lasciati, nel nostro percorso ad anello, in punta di collina, sopra Campeglio, ricordate? Pieni di entusiasmo per le belle vedute, ci sorprendiamo a pensare che “ci sembra di essere in Toscana!”, poi ci vergogniamo assai, non certo per il paragone con la bellissima terra di Dante, ma per due semplici motivi: il primo è che per l’ennesima volta abbiam ragionato alla friulian style, vale a dire tendendo quasi a sottostimare le nostre doti, giudicandole belle non in senso assoluto ma “solo” perché assomigliano a certe bellezze già note, definite e condivise dal comune, mediatico sentire; il secondo è che…noi, sulle colline della Toscana, mica ci siamo mai andati!!!! Inequivocabili segni di atavico jessi sotàns, questo?!?
Conviene, al momento, lasciar la questione aperta: rischia di avere risvolti sterili mentre noi abbiamo sete e fame di cose concrete! A ben pensare, un filino di fame non metaforica viene, tra una scarpinata e l’altra…
Siamo oramai giunti in località San Rocco, collina tra le colline, vista stupenda. Qui sorge l’omonima chiesetta, detta di “San Rocco in Canale di Soffumbergo”, come da aspettative. L’edificio è perfettamente risistemato: nella sua austerità sta la sua bellezza, così appartata e nascosta in una radura. Bisogna andarsela a scovare, questa gleseuta, che non si vuol palesare a distanza ma sta platada dietro la cortina di alberi e fronde varie, cidina cidina, fino a che qualcuno, determinato, non la sorprenda.
Se questa antica chiesa è bella e in salute, il relativo castello andò, invece, distrutto nel 1441 ad opera dei cividalesi. Si tratta del castello di Soffumbergo, costruito nel XI secolo, per molti secoli dimora – addirittura! – del Patriarca di Aquileia. Il maniero dominava un territorio comprendente le attuali località di Campeglio, Raschiacco, Colloredo, Valle e Canale. Doveroso, data la sua importanza, almeno ricordarlo.
Placata la sete d’arte e di storia, rimane però…la fame gastrica che già da un po’ nus fâs una vora di deboleça! San Rocco ci viene in soccorso: a pochi passi troviamo l’omonima azienda olearia con tanto di famoso frantoio. Come resistere, dunque? Un regalo ce lo facciamo, anzi, due: una bottiglia del pregiato e profumato olio da portare a casa e, come immediato fast food, un ghirigori dello stesso, versato sopra un po’ di pane…mangjâ e gjoldi!
Sensi appagati in un incjant. Docili, ci lasciamo condurre e ci ritroviamo a passeggio per i sentieri in cresta, attraverso uliveti profumati che frangono i raggi del sole in una festa di colori e luci terse e sincere. Si offre ai nostri occhi una panoramica del Friuli che, altalenando tra i colli vicini, scivola poi giù, soavemente, fino alla pianura e alla costa; questa è un’esperienza di fascino intenso ma… educato e denso di pace, dove animi ben disposti hanno la fortunata occasione di potersi immergere in una bellezza naturale compiuta.
Una cosa appare chiara, al di là di ogni bucolica immagine: quassù ci ci vorranno sempre tanta dedizione e lavoro dell’uomo per la manutenzione e la cura di posti così pittoreschi ma…molto pendenti, al di là di ogni moderno attrezzo agricolo e degli ultimi ritrovati dell’ingegno contadino!
Biel lant, avanziamo ancora e ci imbattiamo in un altro borgo curioso e degno di nota. E’ Canale Alto, il nome già svela molto in proposito. Poche case, alcune fatiscenti ma dall’ottimo potenziale: una buona e rispettosa ristrutturazione le riporterebbe ad antico, rustico splendore, fatto di muro in pietra e coppi costruiti a mano, terrazzo di legno e finestre piccole, così da non far entrare il freddo. Che bello sarebbe se ….ma ci riprendiamo subito dalle nostre fantasie edili perché, alla nostra destra, esce dall’ombra un edificio, sistemato sommariamente, e ci intima l’alt: altri non è se non il “covo” dei cinghialai della zona, come recita il cartello all’ingresso! Prassi vuole che qui una sosta ci scappi, con tanto di foto e sorriso compiaciuto, da veri “compagnoni”. Quelle mura avranno sicuramente conosciuto festa e momenti di convivialità dettati, magari, dall’occasione di un carniere riempito con abbondanza e dal successivo lauto banchetto.
Poco più in là,un’altra casetta ci racconta, in toni più pacati, di abitanti più presenti e molto attenti alle sue esigenze: di lei ci ricordiamo bene – l’avevamo già conosciuta in qualche passata camminata e già allora ci aveva colpito – e, ad ogni nuovo incontro ne apprezziamo la maturazione e l’abbellimento. Anche stavolta ci accorgiamo di un particolare in più, forse una riparazione o una tinteggiatura o una tettoia risistemata, chissà; l’orticello/giardinetto, poi, è tenuto come un pipìn. Non ci meraviglieremmo affatto se, sull’uscio, ci fosse a questo punto una nostrana palidùta Biancaneve ad offrirci un po’ di sciroppo di sambuco per confortar il nostro cammino di viandanti …anulari!