Approfittiamo ben volentieri dell’ultima escursione stagione 2014/2015 targata “Comunità Montana del Gemonese, Canal del Ferro, Valcanale” e coop. “Farfalle nella testa” per ritrovarci in piazza a Montenars (UD) e, da lì, partire alla volta delle bellezze nascoste del territorio. In questa occasione il termine “nascoste” è quanto mai appropriato, visto che la meta – ci preannunciano – avrà molto a che fare con lo stâ scuindûts.
La scopriremo gradualmente, passo davanti a passo, come sempre accade quando il mondo lo si vede camminando, quando le distanze non si vincono con il sorpasso e con una sborfada di fum, ma con grandi respiri a pieni polmoni e, magari, con un pezzetto di cioccolata come carburante. Non abbiamo fretta di arrivare, non è un approccio consumistico, il nostro; la nostra poetica è più quella da “sabato del villaggio”, perché il bello è il “durante”, l’attraversare i luoghi cercando di viverli con una crescente consapevolezza.
Tanta gente ci accompagna, sconosciuti che, a poco a poco, diventano volti con i cui tratti si prende confidenza; da massa indistinta che eravamo, biel che o lin indenant cominciamo a riconoscerci e ad individuarci. Accadrà quasi certamente che, a qualche prossima buona occasione, qualcuno lo rincontreremo in un cjanton della Piccola Patria. In questo reciproco “acclimatarci”, procediamo ascoltando i racconti e le spiegazioni delle esperte guide. L’attenzione si sofferma, così, su particolari che, altrimenti, facilmente sfuggirebbero nella gran parata che la Natura – da ottima artista – infallibilmente sempre offre di sè, a prescindere da ogni condizione meteo e in ogni stagione. Certo, un raggio di sole in più esalterebbe la scena ma…no stin a pretindi, o sin in Friûl! Torneremo quando la primavera sarà ancor più tiepida e luminosa e godremo appieno della ricca tavolozza che già ora riusciamo a indovinare. Basta, infatti, lasciar cadere lo sguardo sul troi che stiamo percorrendo o sulla riba al nostro fianco per perdere i nostri iridi tra mille crocus viola che popolano fittamente ogni centimetro di terra. Un tappeto uniforme di fiori! Sorridiamo al nostro sorprenderci: ogni anno è così, esclamazioni di meraviglia allo scorgere i primi risvegli del prato o del bosco, come se fossimo nati ieri e scoprissimo il creato ex novo! In fondo, il refolo di piacere che percorre il gruppo ci fa sentire simili e contribuisce al sorgere di un sussurrato sentimento di fratellanza. Questo non può che rafforzare l’idea che uomini pacifici vengano a formarsi solo in ambienti di vita non eccessivamente artificiali bensì in costante, vicino ed equilibrato rapporto con la natura.
Mentre pensiamo alla pace nel mondo, un po’ di strage di crocus, ahimè, la facciamo: ce ne sono così tanti che, obiettivamente, non si sa dove posare il piede! Nelle conche del sottobosco altri gingilli si mostrano orgogliosi e consapevoli della loro perfetta e delicata bellezza: bucaneve dal contorno preciso e dalle tinte incorruttibili, come gioiellini confezionati appositamente per una principessa da fiaba. Poco più in là l’allegria trombettiera delle primule gialle e zuccherine, così estroverse e ciarliere, sbucate qua e là a ciuffi e a cespi, a far crocchio come le comari nella piazza del mercato. Neppure le pratoline mancano, ma sono ancora poche, sottili e tenaci pioniere ed esploratrici della zona. Quando ne arriveranno altre farà già plui cjaldùt, sarà ora di lâ a cirî un puestùt pal Lunis di Pasca…
Tra un petalo e l’altro dribbliamo maldestramente e ci portiamo su tracciati più brulli, intervallati da tratti asfaltati. Attraversiamo borgate di Montenars di cui non sospettavamo l’esistenza (lo stesso dicasi per la nostra ignara e poco dettagliata cartina stradale!) ma che ancora qualcuno abita, cura e scalda con le sue attenzioni e la sua presenza vitale.
Durante i tratti finali della marcia ci troviamo nella parte più selvaggia del nostro itinerario, fatta di boschi di latifoglie seminudi e di arcigni e impettiti fianchi di monte. Avanzando, costeggiamo massicce pareti di rocce che sembrano inattaccabili ma che, invece, rivelano profonde fragilità: la pazienza della goccia d’acqua che, come un carûl, le erode dall’interno e le scioglie al pari di una saliva digestiva, creando gallerie che, infine, vedono la luce sboccando all’esterno con un adamantino zampillo. La goccia si è fatta energico fiotto liquido e sgorga fuori vivace e mai straca.
Se prima si accennava alla “poetica del sabato”, ora andrebbe tramutata nella “poetica degli ultimi”! Del resto, le spiegazioni delle guide sulle fatiche immani che l’avifauna migrante – fino al più piccolo e tenero volatile – affronta nell’attraversare l’Europa e il Mediterraneo par cjatâ bon vivi durante i nostri mesi freddi avvalorano questo aggiornamento!
Ma…perché tirare in ballo proprio gli uccelli? Il titolo di questo articolo suggerisce la risposta, che verrà svelata, biel lant, nella puntata trentasette.