No, no, non si tratta di svarioni geografici né di indecisioni sulle sedi delle nostre perle architettoniche. E’, invece, la potenza della letteratura che, se di qualità, fa viaggiare, volare, saltare indietro nel tempo o balzare nel futuro e, addirittura, regala temporanee…ubiquità!
Facoltà di non poco conto, queste, che non temono affatto il confronto con le mille protesi tecnologiche disponibili sul mercato, fatte per farci vivere vite virtuali da superman ma che no làssin savôr in bocja. Una buona pagina scritta ha il pregio di un gusto persistente, ti lascia un ricordo su cui tornare e confrontarti, ti offre spunti da elaborare ed è, infondo, parola amica che ti ha dato conforto e tenuto compagnia brillante e intelligente. Di lei sai che ti puoi fidare e da lei ti lasci condurre verso orizzonti significativi e densi di emozione.
Se, poi, quella buona pagina scritta la incontri per la prima volta tramite la voce di un bravo ed efficace attore (il nostro Fabiano Fantini) che te la racconta impersonandone con tutta l’anima ogni sua singola sillaba, allora…si tratta quasi di una rivelazione!
Molti altri ingredienti hanno concorso al mio primo, felice incontro con “Il Giardiniere di Villa Manin” di Amedeo Giacomini, intellettuale e scrittore friulano originario di Varmo (UD), scomparso nel 2006.
Era una sera di fine estate dell’anno scorso: sera di festa, perché il PIC, Progetto Integrato Cultura – organo promotore del territorio dei Comuni del Medio Friuli e del prezioso paesaggio culturale che essi comprendono – offriva al numeroso pubblico di affezionati e fedelissimi uno spettacolo (rassegna che ci aspettiamo anche per il 2015, denominata “Musica in Villa”) che aveva come palcoscenico quel di Villa Giacomini, in pieno centro a Varmo.
Doppio palcoscenico, ad essere precisi, in quanto la serata si svolgeva contemporaneamente sia al piano terra sia al primo piano.
Due palchi, tre artisti. Sotto, circondato da ammutoliti spettatori seduti lungo l’intero perimetro della stanza, il pregiatissimo Glauco Venier e un nerolucido pianoforte a coda da cui traeva atmosfere, immagini, pensieri che spingeva fin su da noi del piano alto, complici ottimi altoparlanti e videocamere che catturavano il gesto e l’intensità dell’esecuzione. Sopra, davanti a un pubblico tutto occhi ed orecchie, Fantini a prestare la sua calda voce a quel vecchio giardiniere del racconto di Giacomini (Il giardiniere di Villa Manin, appunto), uomo colto ed esperto, carico d’anni e di una vita dedicata con passione e dedizione alla cura del Parco della Villa Manin di Passariano. Il diario del giardiniere diventa un accorato commiato a pochi giorni dalla pensione, un addio che vuole smorzare il dolore del distacco (da perfetti? furlani, non riusciamo tanto facilmente a sfogare in pubblico le lacrime, ma quelle ci sono, eccome…e dovèntin clàs che a pesin tai vôi) tramite il racconto e il ricordo equilibrato e maturo di tutte le vicende passate insieme. Il giardino assurge al ruolo di compagno con cui si è compiuto un metaforico viaggio attraverso vicende che hanno segnato le sorti del Friuli e della Villa stessa, guerra degli anni Quaranta compresa.
Manca all’appello il terzo artista, ve ne eravate accorti? C’era la musica, c’era anche la parola narrata, cos’altro poteva amalgamarsi all’occasione? Un grande foglio bianco, steso come se fosse un lenzuolo messo ad asciugare. Dei secchi pieni di colore: tinte tenui, non abbaglianti, non elettriche, varianti dal bianco, all’ocra, al giallo, al verdino, all’arancio e al marrone. Non pennelli ma…rulli. Rulli abilmente mossi dalle mani e dall’estro di Luigina Tusini che, durante il racconto o negli intervalli tra un brano e l’altro, faceva a poco a poco spuntare un’intera schiera di tronchi di latifoglie proprio alle spalle di Fantini. Una natura che nasceva e cresceva sotto il suo gesto sapiente e accorto e che, concludendosi con la conclusione stessa del racconto, induceva il pubblico ad addentrarsi tra i fusti biancastri dei pioppi e di chissà quante altre varietà di alberi, mentre il giardiniere rammentava le statue dei vialetti di Villa Manin, i laghetti artificiali, i vasi lapidei sui piedistalli, le aiuole, i numerosi uccelli che vi si possono scorgere.
Il giardino di Villa Manin visto da Villa Giacomini, tra scie e gocce di colore, interi tralci di note zuccherine e maturate al sole e sapide parole che sono storia di vita, non importa se vera o verosimile, ma appassionata e consapevole, ogni istante, del leàm fuart che si crea fra uomo e il territorio che lo accoglie e lo ospita, in reciproco rapporto di scambio.
La prossima visita al grande Parco di Passariano non potrà non avere un sapore nuovo, arricchito dall’esperienza della buona pagina di Medeo. Sulla falsariga degli abbinamenti cibo – vino che tanto ci raccomandano in questa epoca di riscoperta dei valori (anche culturali e simbolici) dell’enogastronomia, inauguriamo, dunque, una nuova tipologia di abbinamenti: luoghi – letteratura. Ce bon vivi!