Scollinando e incrociando podisti e corridori, intraprendiamo una discreta salita che ci permette di ammirare la sella di Sant’Agnese anche dall’alto; con una punta di soddisfazione ci rendiamo conto di aver tenuto un buon passo se quella bella distesa verdeggiante è, ora, solo un minuscolo triangolino contornato dall’arco montano!
Ma…guai a chi indugia! Nel nostro minuto di autocompiacimento ci imbattiamo in un arzillo siorèt che, con cappello da alpino, varie primavere sulla groppa e faccia sorridente e gagliarda, ci sorpassa a suon di polpaccio nudo e tornito ben in vista, salutando e annunciandoci che questo è il suo tredicesimo anno di partecipazione alla marcialonga dicembrina. Pasiòn e vonda!
Avanti tutta, il sentiero serpeggia panoramico e offre una cartolina ai più inedita sul gemonese. Visuale molto bella e una via facile e comoda. A terra la stradina offre sassolini, acciottolato o lastricato, con tratti cementificati o asfaltati. Ideale anche per mountain bikers non estremi e signore con cagnolino (non troppo salottiero).
Al fianco destro c’è parete viva e umida di montagna: la puoi toccare, la puoi leggere nei colori delle sue rocce e nelle sofferenze dei contorcimenti geologici che la continuano inesorabilmente a governare. A volte, tra quei massi, trovi il rigoglio imperterrito della Vita che si abbarbica in una spruzzata di terra incastonata tra gli spuntoni e sboccia in pianticelle o fiorellini inattesi. Il “solito”, piccolo grande miracolo del Creato: mai banale, mai scontato nella forza che promana da ogni Suo essere, a cominciare da quelle forme viventi che paiono più piccole e indifese e che, invece, alla faccia della legge del plui grues, son lì e crescono. Il loro esempio ci consola, complice anche un’atmosfera prenatalizia e inequivocabili segnali della prossima Natività. Uno per tutti un presepe campestre allestito da qualche affezionato ai margini di uno dei tanti boschi di latifoglie che abbiamo lambito nel nostro andare.
A proposito: continuiamo ad andare, solleticati da quanto le valenti guide ci anticipano. Nel giro di poco, il sentiero discende e fa un’ampia ansa. Mettiamo a fuoco quanto ci si para davanti e l’operazione richiede almeno una manciata di minuti. Ad una prima occhiata si scorgono edifici diroccati, poi, aguzzando la vista, comprendiamo che quei muri spingono ad altri muri, posti più in su, quindi ad altri ancora, tra vegetazione invadente e coprente e un andamento poco chiaro delle costruzioni. Così è naturale che sia, dato che ci troviamo davanti al Forte corazzato di Monte Ercole, una delle edificazioni ancora lì a raccontarci pagine poco note della Vuera Granda in Friûl. Alcuni interni del Forte sono visitabili e percorribili e ospitano una serie di pannelli con illustrazioni e spiegazioni. L’impatto emotivo che si ha entrando fisicamente nei locali e nei cunicoli di una fortezza militare è sempre grande, se si pensa davvero agli Innocenti che lì passavano e si accetta anche per un solo istante di calarsi nei Loro panni, puarìns. Se l’assurdo, lo sgomento e la pietà ci sono compagne, all’uscita da questi siti, significa che sì!, la nostra consueta pellicola protettiva e appiccicaticcia di superficialità siamo riusciti ad arrotolarla e a riporla, per l’evenienza, nello zaino. Ce meràcul!
Ci manca un’ultima ciliegina su questa torta succulenta che è la gita nel gemonese: non si fa attendere tanto, anzi, si palesa subito nella sua bella forma tonda e nella sua cornice di latifoglie ormai spogliati delle loro livree. E’ il laghetto Minisini, che mai e poi mai si direbbe di trovare (e invece è lì, andateci!!!) a – due passi – due dal centro di Ospedaletto (che, infatti, pacificamente riconquistiamo di lì a poco): per l’ennesima volta sgorga dal cûr un fiotto d’amore per le bellezze nascoste di questa benedetta Piçule Patrie che immancabilmente riesce a sorprenderci e che, in un eccesso di umiltà, a volte tende a non dare il giusto valore ai propri talenti e a far vedere la propria bellezza.
Apprendiamo che, dietro alla veduta del laghetto Minisini (naturale) c’è un recente e accurato lavoro di recupero dello stesso, altrimenti destinato a un rapido imbonimento. E’ davvero un piccolo e incantato angolo fiabesco, da visitare in ogni stagione, con garbo e disposizione a lasciarsi incantare.
Bon Nadâl e Bon An Gnûf 2015 a Ducj.