Bon proseguimènt e buona Epifania, innanzitutto! Us augurìn un àn plen di fortuna e di buina luna, prendendo a prestito alcune parole tratte da canzoni tradizionali ancora proposte, sotto le feste, nei paesini magici delle nostre montagne e, in particolare, in quelli della Carnia.
Nella puntata precedente ci trovavamo, invece, nella pianura friulana, intenti ad ammirare le tele del pittore (e non solo) Guido Tavagnacco. Il piccolo viaggio ora prosegue, sempre nei confini del suo paese d’origine, Moimacco.
Se proviamo sensazioni di affinità ed empatia davanti alle opere di Tavagnacco (ma questa riflessione si estende benissimo a qualsiasi artista riesca a pizzicare qualche corda del nostro spirito), se ci troviamo in di armonia con lui, se quelle linee, quei materiali e quei colori che egli impiega in qualche modo trovano sintonia con le tinte del nostro animo e con i suoi unici e irripetibili intrecci, bardèis e mateçs, allora…accadrà che andare simbolicamente a far visita all’artista nella sua prima casa – vale a dire nel suo paese natìo – sarà per noi un modo per rendergli omaggio e ringraziarlo di averci aperto un po’ di più il nostro mondo interiore per il tramite della sua luce e delle sue forme.
Nondimeno, sarà un’occasione per conoscere il nostro Maestro un po’ più da vicino, attraversando quelle stesse vie che lo videro muovere i primi passi e patire i primi struggimenti esistenziali.
Certo, il contesto, oggi, è radicalmente diverso. La Moimacco degli anni Venti, Trenta, Quaranta era tutt’altra realtà rispetto a quella attuale, se guardiamo le sue architetture fisiche, economiche, politiche e sociali. C’era la miseria, con tutti gli annessi e connessi. Ruggiva la guerra, col suo alito fetido. Il mondo era ancora tremendamente grande per i più e l’accesso al Sapere era roba di lusso, non un diritto di tutti.
Eppure non c’è da stupirsi se da nidi rustici ed essenziali riescono a spiccare il volo solo ali forti, occhi lungimiranti, menti capaci. Questo è, dunque, anche il caso di Guido Tavagnacco.
La sua formazione e maturazione artistica avvennero, naturalmente, altrove ma il primo, infinito e vitalissimo verde della campagna friulana lo vide qui. Anche il primo giallo, durante il secco delle torride estati. Il giallo chiarissimo dei prati di erbe alte, quello sacro del frumento pronto per la messe, quello intenso dei grandi girasoli che, un tempo, erano così comuni da queste parti. Soggetto ricorrente in moltissimi suoi quadri, i fiori di girasole erano” lis cjapielis”: così le chiamavano i vecchi perché assomigliavano, per diametro, ai grandi cappelli di paglia a tesa larga usati dalle donne per riparasi dal sole cocente durante il lavoro all’aperto.
Qui, nelle pieghe dei volti dei suoi familiari e dei suoi compaesani, trovava spunto per i primi ritratti e occasione per le prime caricature. Ancora qui conobbe i cacciatori, i contadini intenti nel lavoro nei campi e nelle vigne, le lavandaie a sciacquare i panni nel Ruc, il vicino torrente Chiarò che scorre, oggigiorno, in un nuovo letto, rettificato e messo in sicurezza.
Non sarà priva di emozione e di partecipazione, allora, la visita a quella che può definirsi la seconda tappa dell’itinerario alla (ri)scoperta di Guido Tavagnacco, vale a dire la Galleria permanente.
Essa si trova lungo l’arteria principale del paese (la immancabile “Via Roma”), a pochi passi dal Municipio e, di conseguenza, dalla Sala consiliare con le famose e bellissime due maxitele di cui alla puntata scorsa.
La Galleria si trova al piano terra di un edificio ristrutturato nei primi anni Novanta e adibito, nel suo complesso, a Centro Civico Culturale intitolato al Nostro.
Due sono le sale che ospitano il lascito di decine e decine di opere con il quale l’Artista ha voluto ritornare a dialogare con i suoi compaesani, oltrepassando i vincoli della sua esistenza terrena e proponendo ai moimacchesi di oggi e a quelli che verranno la sua personale visione del mondo, nutrita e fortificata dalle esperienze maturate nel corso della sua vita.
In realtà, Tavagnacco è più che mai vivo e presente in molti abitanti, al di là della funzione conservatrice e divulgatrice della “sua” galleria: chi più, chi meno, qualche particolare intorno alla sua biografia o alla sua opera in parecchi lo riescono a fornire senza doversi troppo arrovellare né rovistare nella memoria. Delle facce riprodotte in caricatura o ritratte, qualcuna ancora si può incrociare per strada! Di quelli, invece, già in là con gli anni all’epoca dell’esecuzione del dipinto rimangono parenti o amici a raccontarne l’aneddoto.
Si aggiunga che la moglie, la signora Liliana, in occasioni di festa ancora passa in paese a dare un saluto e omaggiare di una visita. La ritroviamo spesso in quei dipinti, regina tra le figure femminili, cantata con pennellate intense e inconfondibili che ne delineano lo sguardo profondo, la bella chioma e la sinuosità della figura.
Val la pena proseguire questo piccolo viaggio: a questo punto si ha la certezza che, nel giro di pochi passi,incontreremo innumerevoli altre testimonianze di Tavagnacco, sia artistiche che umane.
Prima, però, ultimiamo l’esplorazione dell’edificio sede del Centro Civico, recandoci al primo e al secondo piano. Troviamo – come era logico attendersi – la biblioteca e una bella sala con calde travi di legno idonea ad essere spazio per letture e convegni. Non le solite sedie con microbanchetto ancorato ad un bracciolo, bensì grandi tavoli rettangolari attorno ai quali accomodarsi in tanti e cjalasi bèn tai voi. Questo a ricordarci che la Cultura è occasione e strumento di incontro e scambio, valido aiuto per imparare nuovamente a “far comunità” in anni in cui il rischio di disgregazione e di isolamento è, purtroppo, via via crescente.