“La scuola non deve insegnare unicamente le nozioni, ma deve educare delle persone, che poi saranno il cardine del nostro futuro”. Così risponde Oriana Fioccone quando le si chiede che tipo di rapporto pensa di aver instaurato con i ragazzi che ha incontrato nel corso della sua carriera di insegnante di scuola media inferiore (o scuola secondaria di primo grado, come viene chiamata al giorno d’oggi).
E chi meglio di lei avrebbe potuto trasmettere alle giovani generazioni un insegnamento per la vita, destinato a rimanere impresso nelle loro menti molto più dell’italiano, della storia o della geografia? Lei, una cinquantatreenne della provincia di Asti che sin dalla tenera età di nove anni convive con la distrofia muscolare (una malattia subdola che ti consuma come una candela e che non si può fermare, come la definisce lei stessa), eppure è riuscita a diplomarsi al Liceo pedagogico, a laurearsi in Lettere Moderne presso l’Università di Torino e quindi a passare dall’altra parte della cattedra.
Certamente il percorso di Oriana non è stato e non è tutt’ora facile, semmai ogni giorno più difficile, con i muscoli che lavorano sempre meno e una miriade di ostacoli da superare, sia in senso letterale che metaforico. La bambina che cadeva spesso, faceva fatica a camminare ed era costretta ad assumere glicocolla in quantità industriali nella speranza (poi risultata vana) che quella polverina bianca disciolta in acqua riuscisse a bloccare la malattia, diventò ben presto la ragazza che frequentava le magistrali, non perché desiderasse intraprendere una strada diversa da quella dei suoi familiari, titolari di un negozio di mobili, bensì perché il Liceo pedagogico era l’unica scuola superiore accessibile nella città a lei più vicina; una volta conseguito il diploma, a Oriana venne naturale iscriversi all’Università, ma anche in questo caso la scelta del corso di laurea fu condizionata dalla sua malattia, almeno in parte: infatti, se da un lato è vero che scegliendo la facoltà di Lettere Moderne la futura professoressa ha potuto assecondare la sua passione per la lettura e la scrittura, oltre che gettare le basi per un avvenire da insegnante, d’altro canto si trattava di una facoltà che non prevedeva l’obbligo di frequenza e quindi le permetteva di studiare da casa recandosi soltanto a sostenere gli esami, riducendo così al minimo i problemi di mobilità legati alla sua condizione fisica.
Anche quando gli studi universitari furono terminati e giunse il momento di affacciarsi al mondo del lavoro le barriere non mancarono, quelle architettoniche ma soprattutto quelle mentali; per esempio, durante il cosiddetto anno di prova, volto a testare la sua idoneità all’insegnamento, dovette essere portata a braccia nell’aula in cui si teneva il corso di formazione obbligatoria, ubicato in uno dei principali istituti scolastici di Asti. E questo perché? Non certo per mancanza di spazi accessibili da poter sfruttare come sede del corso (al primo piano dell’istituto vi erano diversi locali liberi e senza barriere), ma piuttosto perché il dirigente scolastico di turno riteneva probabilmente che dai piani alti i docenti – discenti potessero godere di una vista migliore e trovava ingiusto privarli di un simile spettacolo. In quest’occasione, come in molti altri frangenti della quotidianità di Oriana (e purtroppo di tutti i disabili che lottano ogni giorno per cercare di condurre una vita “normale”), le barriere fisiche furono superate grazie alla collaborazione di alcuni colleghi volenterosi e prestanti, ma il blocco mentale del preside amante dei panorami? Chissà se oggi può considerarsi superato… Proprio per scongiurare il ripetersi di episodi come questo, che non sono mai troppo piacevoli (né per i “portatori”, né per i “trasportati”), a gennaio 2015 Oriana Fioccone e le sue amiche del Gruppo Donne UILDM hanno pubblicato Ti porto di peso?, una dispensa con diversi contributi su questo tema, tutti molto puntuali e graffianti, ma al tempo stesso ironici e per nulla pietistici.
Ma torniamo alla vita dietro la cattedra, che purtroppo la professoressa Fioccone ha dovuto abbandonare anticipatamente qualche anno fa per motivi di salute. Se i suoi rapporti con i capi d’istituto non sono sempre stati idilliaci (qualcuno è addirittura arrivato a chiederle di esibire i certificati di handicap, peraltro già presentati a inizio carriera, per accertarsi che avesse tutti i requisiti necessari ad insegnare; peccato che poi abbia dovuto scoprire che lei era una validissima risorsa per i ragazzi con esigenze speciali, in particolare per quelli con problemi psichici), è andata molto meglio nell’interazione con gli alunni e le loro famiglie.
Eh sì, perché a Oriana piaceva stare tra i giovani e con i giovani, cercare di avvicinarsi il più possibile al loro modo di pensare, entrare in sintonia con loro e sforzarsi di capirli sempre, sia nei momenti di allegria e spensieratezza che in quelli di sconforto o difficoltà; ciò non toglie che fosse un’insegnante piuttosto severa, soprattutto quando si trattava di impartire i fondamenti della grammatica italiana a un’intera classe. Quando invece veniva utilizzata per il sostegno ad allievi con disturbi cognitivi o dell’apprendimento, la professoressa, aiutata dai colleghi, cercava di trattarli allo stesso modo dei loro compagni, di non isolarli e di farli partecipare a tutte le attività proposte, pur semplificandole perché fossero alla loro portata.
Le ore trascorse in cattedra, per quanto impegnative, rappresentavano per lei un toccasana, infatti le permettevano di evadere temporaneamente dalla sua condizione, mettendo da parte i suoi problemi per dedicarsi totalmente a quelli degli altri; ecco perché il fatto di dover andare in pensione anticipatamente le è dispiaciuto parecchio, tuttavia, con la grinta e la determinazione che la contraddistinguono, ha saputo fare di necessità virtù e ha scelto di sfruttare il tempo a sua disposizione per tenersi aggiornata sul mondo che la circonda (in particolare quello dell’associazionismo) e per cercare di migliorare sia la propria situazione che quella degli altri disabili. I social network le consentono poi di mantenere i contatti con alcuni dei suoi ex studenti e colleghi, che ogni tanto incontra anche di persona. Infine, se vogliamo entrare maggiormente nella sfera privata, scopriamo che Oriana ama molto cucinare e adora trascorrere più tempo possibile con i suoi due nipoti, che considera la sua ragione di vita.
Come avete potuto capire leggendo fin qui, la malattia non ha impedito e non impedisce alla protagonista di quest’articolo di vivere un’esistenza piena, tuttavia non si può negare che le abbia tolto molto più di quanto le ha dato, causando a lei e ai suoi famigliari un dolore ineffabile, incomprensibile a chi fortunatamente non l’ha mai provato, come la sottoscritta. Questo spiega probabilmente perché Oriana Fioccone si ritenga una disabile del “mondo di mezzo”, che non pretende di essere continuamente aiutata (anzi, si batte per la propria indipendenza e per una società accessibile a tutti), ma vorrebbe senz’altro essere maggiormente capita e ascoltata, soprattutto quando il fardello che porta ogni giorno si fa troppo pesante.
Personalmente ritengo che il contributo che la professoressa astigiana ha dato e sta dando alla società con il suo esempio e il suo spirito di servizio (che prima si concretizzavano nell’insegnamento, ora nel suo impegno in diverse associazioni) non la qualifichi come un’esponente del “mondo di mezzo”, quanto piuttosto come una persona che, pur non nascondendo le proprie fragilità e debolezze, sa di avere molto da offrire alla collettività e desidera poterlo fare ad ogni costo.
Sebbene per Oriana la malattia non sia stata (e non sia tutt’ora) una scuola di vita, le ha comunque permesso di dedicare una vita, o almeno parte di essa, alla scuola, facendole scoprire una vocazione che altrimenti avrebbe potuto rimanere sopita per sempre; forse il risvolto positivo della sua vicenda è proprio questo, il fatto che un grande dolore le abbia suo malgrado fornito la chiave per leggersi nel cuore.