
Ricordo quando ero ragazzina l’immancabile appuntamento con il primo di agosto: la televisione ci bersagliava di informazioni relative ai giorni a rischio di bollino rosso perché tutta l’Italia si fermava per le meritate ferie estive.
Le grandi fabbriche del Nord chiudevano i portoni per almeno tre settimane e milioni di persone si mettevano in auto per raggiungere le località balneari del Sud del paese, ritrovando famiglie d’origine e vecchi sapori d’infanzia.
In molti esortavano alle partenze intelligenti per evitare congestionamenti del traffico, soprattutto nei lunghi colli di bottiglia della penisola. Congestionamenti che poi, puntualissimi come un orologio svizzero, si verificavano lo stesso.
In realtà questo fenomeno tipico del costume italico è proseguito per molti anni, anche oltre la mia età sbarbatella. Fino all’altro giorno.
Oggi, anche in questo aspetto di vita, avverto la fine di un’epoca. E provo molta nostalgia. Quella di chi guarda un vecchio album di foto in cui i protagonisti erano tutti giovani e belli, senza pensieri.
La drammatica piaga della disoccupazione e della chiusura forzata di molte fabbriche a causa della crisi economica hanno cambiato anche la prospettiva vacanze degli italiani. Non sono molti quelli che si possono assentare per più di una settimana dalle loro cupe e grigie esistenze sempre di corsa per arrivare a fine mese senza arrancare più di tanto. E chi parte sceglie il low cost pur di non rinunciare all’illusione dell’evasione, dovendo poi, al ritorno, fare salti mortali per rimpinzare le casse di famiglia.
Oggi le partenze sono sicuramente più intelligenti. Forzatamente intelligenti.
Da un esodo all’altro. Quello che non si ferma invece è il disperato fluire di popoli del sud del mondo verso le nostre rive. Viaggi della speranza che si inabissano troppo spesso in tragici epiloghi. L’Europa vacilla di fronte al problema dei migranti che saranno sempre più la realtà a cui confrontarsi nei prossimi decenni. Mi sento impotente e provo una rabbia terribile quando leggo l’indignazione sdegnata di molti infastiditi da queste frontiere troppo aperte. Provo ribrezzo quando sento parlare di chiusura necessaria e di rischi epidemie. Quando sento sbattere le porte in faccia.
Non chiudo gli occhi, so che esistono enormi problematiche forse ingestibili dai grandi potenti del mondo, non ho la soluzione nel cilindro, ma se guardo quei volti scavati di sofferenze e povertà non posso dormire tranquilla. La sofferenza umana mi è insopportabile quasi quanto l’indifferenza della gente pasciuta di vita e di presunta civiltà. Sulla strada della disumanizzazione, ahimè. Perché ciò che conta è avere il giardino in ordine.
Buone vacanze.