I ritardatari… mi piacerebbe molto scrivere su come capire e giustificare i ritardatari. Da donna, spesso mi capita di cadere nel cliché sociale per cui siamo solo noi donne fonte di tanta attesa. In fondo noi, ogni volta che usciamo, abbiamo bisogno di un particolare processo di preparazione. Agli occhi di un uomo (di un uomo ingenuo) noi ci svegliamo la mattina con una pelle perfetta, delle ciglia lunghissime, sempre perfettamente depilate, non un’occhiaia, i capelli in piega e un profumo di rose. Chiunque viva con una donna sa che in realtà svegliarsi accanto a lei è come essere andati a dormire con una ninfa ed essersi risvegliati con una chimera. Motivo per cui, per tornare nell’ottica ninfa, dobbiamo svegliarci molto presto, ritoccare la ceretta se necessario, farci la doccia, asciugarci i capelli, la piega, la crema, il trucco ecc.… Ovvio che arriviamo sempre tardi! La giustificazione femminile per eccellenza è questa. Le giustificazioni maschili invece sono più complesse. Mi è capitato diverse volte di uscire con amici maschi e di essere io l’unica puntuale. Per meglio dire… mi capita sempre. Le giustificazioni maschili hanno un unico vantaggio: una fantasia fuori dal comune. C’è chi arriva in ritardo perché ha incontrato un amico che non vedeva dai tempi delle medie, chi perché doveva finire l’ultimo livello di un videogioco che l’ha visto impegnato per mesi, chi ( la mia preferita) perché si era addormentato. Ovviamente queste sono solo alcune scuse ma per giustificare un ritardo si è disposti a tutto. Veniamo ora alla persona che li aspetta: la vittima. La vittima di un ritardatario è un essere che fa davvero pena. La vedi lì, inerme, per la strada aspettando una persona che, nel migliore dei casi, continua a rimandare il suo arrivo di cinque minuti in cinque minuti, nel peggiore dei casi non ti dà neanche un accenno di vita e tu (a seconda dell’affetto o della stima che provi nei confronti di questa persona) l’aspetti. I minuti passano… se prima la vittima si sentiva solo un po’ triste ora comincia ad arrabbiarsi. La rabbia è direttamente proporzionale alla stupidità della scusa che si aspetta di ricevere per quel ritardo. Per i ragazzi è l’insensatezza di un’intera ora per prepararsi. Per le ragazze una qualunque scusa non riguardi il lavoro (e a volte neanche quella scusa). Dopo un’ora e mezza di attesa, nella quale ormai si conoscono a memoria tutti i mozziconi di sigaretta gettati nel raggio di 10 metri, si viene visti con occhio sospetto dalle persone che vivono nei dintorni ( che pensano tu stia lì fermo a programmare una rapina), si incontrano tutte le specie animali ospitate da Noè nell’arca… ecco che compare all’orizzonte il tuo amico. Sorride tranquillo lui. Ti viene incontro tentando di abbracciarti o darti i soliti due baci sulle guance come se andasse tutto bene. Mentre tu, nell’attesa, oltre ad aver già fatto tutte le cose sopracitate, hai anche contato i metodi che conosci per torturarlo lentamente, finendo peraltro per scegliere la tortura della goccia d’acqua in testa ( in modo che sappia cosa sia lo scorrere del tempo). Lo guardi con sguardo truce. Allora e solo allora lui si rende conto di doverti dare una spiegazione. Si inventa così che il figlio, del fratello, del cugino, della zia acquisita del portinaio è venuto a trovarlo e che non ha potuto liberarsi. Continui a guardarlo in modo atroce. Alla fine capitola: si era addormentato. Ridere o piangere ormai non ha più alcun senso. Così ci passi sopra promettendo una vendetta che in realtà non realizzerai mai. In fondo però poco importa: se l’hai aspettato c’è un motivo.