“Una vita da mediano
a recuperar palloni
nato senza i piedi buoni
lavorare sui polmoni
una vita da mediano
con dei compiti precisi
a coprire certe zone
a giocare generosi […]”.
Così cantava Luciano Ligabue nel lontano 1999, quasi a voler analizzare con una punta di amarezza il destino dell’umanità, che, almeno nella maggioranza dei casi, si concretizza in tanta fatica e poche soddisfazioni.
Eppure, come ho potuto constatare più volte dacché curo questa rubrica, anche il ruolo del mediano è importante, spesso addirittura decisivo per ottenere un risultato; le storie di vita che ho conosciuto e raccontato in questi mesi insegnano che per essere vincenti non è sempre necessario stare in prima linea o viaggiare alla massima velocità, si può tagliare un traguardo anche partendo da una posizione un po’ più arretrata.
Lo sa bene Roberto Sodero, un ingegnere informatico trentaquattrenne che, essendo effettivamente “nato senza i piedi buoni” (o meglio, con un solo piede buono), fino a tre anni fa, aveva sempre vissuto il calcio da spettatore, senza nemmeno immaginare che un giorno sarebbe riuscito a conquistarsi un posto a centrocampo, figuriamoci poi a giocare in Nazionale!
Il motivo per cui Roberto ha sempre avuto un solo piede buono è che la sua gamba destra è stata colpita dalla Sindrome di Klippel-Trénaunay-Weber (sindrome angio-osteoipertrofica), una malattia congenita vascolare dell’osso caratterizzata dalla malformazione dei vasi di un arto, che causa iperaccrescimento dell’arto stesso; nonostante il nome e la definizione complicati, non credo sia difficile capire che si tratta di una patologia molto dolorosa e fortemente invalidante, a causa della quale Roberto non aveva mai potuto fare sport, se escludiamo qualche calcio al pallone tirato con gli amici durante l’infanzia e l’adolescenza.
Per quanto possa sembrare strano, la vita di questo giovane leccese ha subìto una svolta quando, all’età di ventuno anni, gli è stata amputata la gamba sopra al ginocchio; È stato un intervento lungo e complesso, che comportava molti rischi, ma che alla fine si è rivelato un vero e proprio toccasana: liberarsi di una gamba ormai inservibile, perennemente gonfia, dolorante e piegata a novanta gradi, ha consentito a Roberto di vivere più serenamente, seppur con l’ausilio delle stampelle o della protesi, che usa quando ha bisogno di avere le mani libere. Negli anni successivi all’amputazione, il ragazzo ha recuperato velocemente il tempo perduto, riuscendo a laurearsi in ingegneria informatica a Lecce, a trovare un impiego nell’azienda presso la quale aveva svolto il tirocinio e infine, nel novembre dello scorso anno, anche a sposarsi.
Ma cosa c’entra il calcio in tutto questo? Come abbiamo detto più sopra, Roberto l’aveva sempre guardato, mai veramente giocato; eppure, dalla fine del 2012, il tifo sul divano ha ceduto il posto ad un ruolo da mediano: com’è potuto accadere? “Tutto merito di un servizio al TG.” – spiega Roberto – “Rimasi molto colpito vedendo questo gruppo di cinque o sei ragazzi giocare a calcio con le stampelle e pensai che forse potevo farlo anch’io”.
Così, il nostro aspirante calciatore, incoraggiato da colei che un paio d’anni più tardi sarebbe diventata sua moglie, fece qualche ricerca online e si imbatté nel gruppo Facebook “Calcio Amputati Italia”: erano loro i protagonisti di quel servizio televisivo.
Il gruppo era stato creato qualche tempo prima dall’allora quattordicenne Francesco Messori, un ragazzo emiliano che ha sempre vissuto su una gamba sola e che ciononostante non ha mai voluto rinunciare alla sua passione per il calcio, ereditata dalla madre. Sin dall’età di nove anni, Francesco si allenava con i suoi coetanei normodotati, ma i regolamenti gli impedivano di partecipare a incontri ufficiali; per fortuna, da dicembre 2011 le cose sono cambiate e adesso, grazie a una deroga concessagli dal Centro Sportivo Italiano (CSI), può scendere in campo con i giocatori “a due gambe”. Ma il più grande sogno di Francesco era quello di giocare un calcio alla pari, confrontandosi con persone che vivono il suo stesso handicap e la sua stessa passione; ecco spiegata la ragion d’essere del gruppo “Calcio Amputati Italia”, che oggi conta una ventina di membri “attivi” (che si allenano e giocano a tutti gli effetti) e oltre un migliaio di simpatizzanti.
Non appena Roberto Sodero contattò il gruppo e il suo fondatore Francesco, venne accolto a braccia aperte e capì che anche per lui era finalmente arrivato il momento di scendere in campo; così, da settembre 2012, provò qualche tiro insieme al fratello, per arrivare almeno un po’ preparato al 3 dicembre, giorno in cui a Reggio Emilia si incontrò per la prima volta con gli altri ragazzi amputati e giocò la prima partita.
In quel frangente la Nazionale Calcio Amputati non esisteva ancora, si sarebbe costituita ufficialmente cinque giorni più tardi, l’8 dicembre, ad Assisi. In questi tre anni, grazie all’indispensabile sostegno del Centro Sportivo Italiano (CSI) e sotto la guida dei tecnici Renzo Vergnani e Paolo Zarzana, la squadra capitanata da Francesco Messori ha partecipato a diversi tornei in Italia e all’estero, ma la sua trasferta più importante è stata senza dubbio quella che dal 30 novembre al 7 dicembre 2014 l’ha fatta volare in Messico, precisamente a Culiaçan, per rappresentare l’Italia ai Mondiali di calcio per amputati. Nell’ambito di questa manifestazione organizzata dalla World Amputee Football Federation (WAFF), una federazione analoga alla ben più nota FIFA, la Nazionale ha dimostrato di saperci fare bene, nonostante fosse nata da poco e i giocatori (tutti non professionisti, che si allenano ciascuno per conto proprio con squadre di normodotati e giocano insieme soltanto una volta al mese) non avessero molta esperienza sul campo e si è piazzata al nono posto su ventuno squadre, un risultato di tutto rispetto per un team al suo primo Mondiale.
Essendo convolato a nozze proprio il giorno precedente all’inizio del Mondiale, Roberto non ha potuto vivere quest’emozionante avventura con i suoi compagni, ma la storia della squadra è appena cominciata, quindi il nostro mediano avrà senz’altro occasione di partecipare a un evento simile e di contribuire attivamente a tenere alto il nome dell’Italia nel mondo.
Nel frattempo si allena regolarmente con il “San Giovanni Maria Vianney”, una squadra di calcio a cinque affiliata alla sezione leccese del CSI, che lo ha accolto da gennaio 2013 e gli ha dato l’opportunità di migliorare costantemente la sua preparazione atletica, fino a permettergli di giocare oggi con gli Under 18 e con un gruppo di ventenni che disputeranno il campionato “Open” (nel quale non esistono limiti d’età).
Forse è bene precisare che il “San Giovanni Maria Vianney” è un team costituito da atleti normodotati, con la sola eccezione di Roberto; lo stesso dicasi per tutte le squadre affiliate al CSI che hanno generosamente accolto al loro interno un membro della Nazionale Calcio Amputati. Questo significa che negli allenamenti settimanali gli Azzurri consumano il doppio delle energie rispetto agli altri giocatori in campo e soltanto quando vengono convocati in Nazionale possono veramente esprimersi al meglio, sfruttando al massimo le loro potenzialità.
Probabilmente la situazione sarebbe diversa se, come avviene in altri Paesi europei (ad esempio in Turchia), anche in Italia ci fossero squadre di giocatori amputati professionisti e si potesse giocare un vero campionato. Al momento, questo rimane un sogno e la strada da percorrere per realizzarlo è ancora lunga, tuttavia Roberto e i suoi compagni continuano a crederci, ecco perché durante i loro raduni mensili, che si tengono in luoghi sempre diversi, non perdono l’occasione di recarsi nelle scuole presenti sul territorio, dando spesso vita a incontri di sport integrato, per far conoscere a quante più persone possibile questo particolare tipo di calcio a sette, per cercare di reclutare nuove leve (senza limiti d’età, l’idea è quella di far giocare tutti coloro che lo desiderano) e soprattutto per dimostrare che nel calcio come nella vita, la testa e il cuore contano molto più dei piedi!
È proprio questa consapevolezza che induce i ragazzi della Nazionale Calcio Amputati a puntare sempre più in alto e a pensare in grande, osando addirittura sognare un futuro a cinque cerchi; eh già, sarebbe bellissimo se “l’altro calcio”, quello giocato da coloro che hanno un solo piede buono, potesse arrivare un giorno alle Olimpiadi, o quantomeno alle Paralimpiadi. Ad oggi i tempi non sono ancora maturi, ma secondo gli addetti ai lavori vi sono buone probabilità che il “calcio con le stampelle” sia presente come sport dimostrativo a Rio 2016, per fare poi il suo ingresso ufficiale alle Paralimpiadi quattro anni più tardi, in occasione di Tokyo 2020.
In attesa di tagliare tutti insieme questo nuovo grande traguardo, Roberto e compagni continuano ad allenarsi con grinta e passione, sostenuti da familiari ed amici, dagli allenatori e dai dirigenti della Nazionale, dal Centro Sportivo Italiano (CSI), dagli sponsor e dalle varie associazioni sportive che ogni mese li ospitano mettendo a loro disposizione uno spogliatoio e un campo da gioco. Come avrete capito, l’avventura è solo all’inizio ed i goal da segnare sono ancora moltissimi, per questo, la Nazionale Calcio Amputati ha bisogno anche del supporto dei tifosi e dei simpatizzanti, che dal 3 dicembre 2015 al 18 gennaio 2016 potranno sostenerla aderendo alla campagna di solidarietà “Stampelle Azzurre” lanciata dal CSI. Come si legge sulla pagina di presentazione dell’iniziativa , essa “ha come obiettivo quello di continuare a sostenere la possibilità e il diritto di tutti i ragazzi disabili di fare sport e di praticarlo da protagonisti”, in altre parole, il messaggio che il CSI intende lanciare garantendo il proprio supporto anche economico alla Nazionale Calcio Amputati, è che nella vita (prima ancora che nello sport) si può essere campioni anche senza avere i piedi buoni!