Iniziare la giornata in un venerdì di primavera e terminarla in un giovedì d’autunno: vi sembra possibile? Sono pronta a scommettere che la maggior parte di voi risponderebbe di no, a meno di non essere i protagonisti di un film di fantascienza; e se vi dicessi che la fine di quest’assurda giornata ne precede l’inizio di ben dodici anni? Servirebbe solo a confondervi ulteriormente le idee, vero? Anzi, probabilmente non vi sforzereste nemmeno di capire dove vado a parare, vi limitereste a consigliarmi un buono strizzacervelli!
Beh, il protagonista di questa storia non è un attore, non ha mai recitato in un film di fantascienza e di strizzacervelli ne ha visti parecchi, eppure per lui è andata proprio così. Venerdì 31 maggio 2013, mentre si stava recando al lavoro all’ospedale di Lodi, il professor Pierdante Piccioni, primario di Pronto Soccorso, ebbe un incidente sulla tangenziale di Pavia, finì contro un guardrail e sbatté violentemente la parte sinistra del capo, procurandosi un forte trauma cranico; dopo circa sei ore vissute in stato di incoscienza, si risvegliò su una barella, accusando qualche difficoltà di parola e non riuscendo a muovere bene la parte destra del corpo, in particolare la gamba.
Fin qui, potrebbe essere la cronaca di un qualunque incidente automobilistico, con conseguenze serie ma non irreparabili; in realtà, ciò che rende questa vicenda così singolare è sicuramente il fatto che al suo rientro nel mondo dei vivi il dottor Piccioni si ritrovò catapultato indietro di dodici anni, nel giovedì d’autunno di cui ho scritto in apertura (il suo “calendario interno” segnava infatti la data del 25 ottobre 2001, giorno dell’ottavo compleanno di suo figlio Tommaso), ma è soprattutto il modo in cui egli è riuscito a non farsi inghiottire completamente dal buco nero in cui era finita parte della sua memoria.
Ancora oggi il primario non ricorda nulla dell’incidente, la sua ultima certezza è quella di aver accompagnato il figlio minore a scuola e di aver consegnato al bidello i pasticcini che il bimbo avrebbe dovuto offrire ai compagni di classe quella mattina; già, ma quale mattina? Quella del 25 ottobre 2001, naturalmente! Quella in cui lui avrebbe indossato il camice bianco all’ospedale di Crema e avrebbe iniziato a visitare un paziente dopo l’altro fino all’ora della pausa caffè; quindi una capatina al bar per ordinare il solito e pagarlo con una banconota da mille lire, poi ancora visite fino al momento di staccare per il pranzo e, chissà, magari estrarre lo StarTAC dalla tasca per una telefonata veloce alla moglie…
E invece eccolo lì, in quel venerdì pomeriggio che per tutti è il 31 maggio 2013, al Pronto Soccorso dell’ospedale di Pavia, sdraiato su un lettino, dopo aver compiuto inconsapevolmente il salto della barricata ed essere diventato a sua volta un paziente. Non capisce perché tutte le persone che gli sfilano davanti gli sembrino più vecchie (in fondo alcune le aveva incontrate soltanto poche ore prima) e perché molte di esse, che sostengono di conoscerlo, gli appaiano come perfette estranee. Di sicuro sua moglie Assunta è andata dal parrucchiere (porta i capelli più corti) e ha qualche ruga in più, ma fortunatamente è sempre lei; chi sono invece quei due ragazzoni che gli si parano di fronte spacciandosi per i suoi figli? Ci dev’essere un errore, quelli non possono essere Filippo e Tommaso, i suoi bambini non hanno mica la barba, sono ancora troppo piccoli!
Nei giorni successivi la situazione non migliora e Pierdante Piccioni continua a vivere in un mondo in cui il futuro non è ancora arrivato; si sorprende di fronte alle nuove tecnologie, touch screen, tablet e iPad sono per lui entità aliene che lo incuriosiscono e lo spaventano al tempo stesso, facendolo sentire esattamente come un terrestre che ha appena visto un UFO o, se preferite, come un marziano appena sbarcato sul nostro pianeta.
I colleghi medici lo rassicurano: la condizione spiacevole in cui si trova è dovuta a un’amnesia parziale retrograda post-traumatica, abbastanza normale per chi si è preso una bella botta in testa (basti pensare che ogni anno in Italia circa duecentomila persone subiscono traumi cranici, in conseguenza dei quali il due o tre percento di esse accusa problemi di memoria) e comunque passeggera, con il tempo tutto si sistemerà, i ricordi riaffioreranno e lui smetterà di provare quell’incredibile senso di vuoto che tanto lo demoralizza.
Intanto passano i mesi e il dottore inizia a trascorrere sempre più tempo in casa, alla ricerca di qualche oggetto che gli risulti familiare e che possa in qualche modo rievocare un’emozione o una sensazione appartenuta alla sua vita precedente. In questo lungo periodo di riposo forzato, capisce che per sentirsi nuovamente vivo deve tornare a fare ciò che più ama, il suo lavoro di medico: così incomincia a studiare, scoprendo di poter contare su una velocità di apprendimento sorprendente, sul sostegno di alcuni colleghi (in particolare di coloro che nel 2008, quindi nel periodo fagocitato dal buco nero, avevano fondato insieme a lui l’Academy of Emergency Medicine and Care – AcEMC, una società internazionale di medicina d’urgenza) e, naturalmente, sul prezioso aiuto di Internet; la sua voglia di rimettersi in gioco è talmente forte che nell’arco di nove mesi recupera tutte le nozioni che il buco nero aveva spazzato via, riaggiornandosi anche sui nuovi farmaci utilizzati e sulle nuove procedure implementate nella medicina d’urgenza.
Nonostante questo però, la memoria non tornerà più e i file danneggiati dal trauma cranico, in particolare quelli contenenti le emozioni provate negli ultimi dodici anni, non potranno più essere ripristinati; questo è quanto si evince dal referto della tomografia ad emissione di positroni, meglio conosciuta con l’acronimo inglese PET, che evidenzia chiaramente la presenza di lesioni alla corteccia cerebrale.
Da adesso in poi, Pierdante Piccioni non verrà più considerato un pazzo, né tantomeno un impostore che finge di essere smemorato perché gli fa comodo, ora sarà un disabile a tutti gli effetti e come tale potrà avviare l’iter per ottenere una pensione d’invalidità e tutti i benefici connessi; questo è ciò che pensano i vertici della sua azienda, i quali non prendono minimamente in considerazione l’ipotesi che lui possa tornare a fare il medico, figuriamoci il primario di Pronto Soccorso. Ragionando in questi termini, trascurano però anche un altro dettaglio: il loro collega è un osso duro, un professionista che ama troppo il suo camice e non ha alcuna intenzione di appenderlo al chiodo; così, lo sconforto e la rabbia provati subito dopo aver ricevuto la sentenza di condanna (secondo la quale nulla sarebbe più tornato come prima), nonché i pensieri suicidi che ne erano seguiti, cedono il passo a una nuova determinazione: rientrare nel futuro come una persona diversa, ma certamente migliore, rispetto a quella che il 31 maggio 2013 era stata risucchiata nel passato.
Il percorso professionale per riaccreditarsi nel mondo in quanto medico inizia con uno stage di due mesi presso il Centro nazionale di informazione tossicologica di Pavia, un’esperienza molto utile per familiarizzare con le tecnologie informatiche in uso al momento e per ampliare le proprie conoscenze mediche; poi, il 5 maggio 2014, il reintegro all’ospedale di Lodi, seppur con un ruolo molto diverso da quello ricoperto un anno prima: anziché cominciare subito a visitare, come in cuor suo avrebbe voluto, ora il dottore è un “tutor d’aula aggiunto” e in quanto tale segue i corsi di formazione per i medici impegnati nel campo dell’emergenza – urgenza; in questo contesto, si trova a riapprendere molto di ciò che un tempo aveva insegnato e coloro che una volta erano stati suoi alunni diventano spesso i suoi maestri. Sebbene ogni tanto questa inversione di ruoli sia motivo di imbarazzo per lui e per i colleghi, Pierdante Piccioni non si scoraggia, in fondo si tratta soltanto di una tappa obbligata per poter giungere alla meta e tornare ad essere un primario di Pronto Soccorso.
Il traguardo tanto atteso viene finalmente tagliato il 1° febbraio 2015, quando il professore entra per la prima volta al Pronto Soccorso di Codogno (LO) in qualità di Direttore di struttura complessa, o più semplicemente Primario. Qui, in un ambiente nuovo dove non conosce nessuno e nessuno lo conosce, può avvenire la vera rinascita: un medico paziente, che per oltre un anno ha sperimentato sulla propria pelle la sofferenza e il disagio di essere un paziente medico, si trova ora nelle condizioni ottimali per assecondare nuovamente la sua vocazione e mettersi al servizio degli altri con maggior empatia, dal momento che, come lui stesso ama precisare, non è più “un esperto di matrimoni celibe”.
Oggi il dottor Piccioni è definitivamente uscito dal buco nero nel quale era precipitato suo malgrado, tuttavia molti sono i punti interrogativi ai quali un caso raro come il suo lascia spazio: per esempio, come mai dopo l’incidente la memoria del professore è regredita fino al 25 ottobre 2001, piuttosto che fino ad un’altra data? Possibile che non vi sia alcuna correlazione tra la durata dello stato di incoscienza (sei ore) e la profondità del buco nero (un vuoto che ha cancellato dodici anni di ricordi ed emozioni)? E ancora, perché la regressione della memoria non avviene in tutti i casi di trauma cranico? Per tentare di rispondere a queste e ad altre domande suscitate dalla sua vicenda, il primario è tutt’ora seguito dal Dipartimento di Scienze Mentali dell’Università di Pavia (in particolare dalla professoressa Gabriella Bottini), che lo sottopone periodicamente a diversi controlli e test, facendogli fare anche un po’ da cavia.
Se da un punto di vista medico sarebbe auspicabile riuscire a sciogliere tutti i dubbi riguardanti il funzionamento del cervello umano e i possibili meccanismi di autodifesa che vengono automaticamente azionati a seguito di un trauma, d’altra parte sono proprio questi limiti della scienza che conferiscono al vissuto del dottor Piccioni un alone di mistero e un fascino particolare, tale da rendere la sua storia degna di un romanzo.
Come testimonia la foto qui sopra, che ne mostra la copertina, questo romanzo esiste già, si intitola “Meno Dodici” ed è stato scritto a quattro mani dal suo protagonista (che appare nella stessa foto, in uno scatto realizzato dallo studio fotografico “Maurizio Bosio Reporters srl”) e da Pierangelo Sapegno, noto giornalista de “La Stampa”, che ne ha curato soprattutto l’editing e ha avuto il merito di renderlo fruibile al pubblico; “La nostra collaborazione è nata in modo del tutto casuale” – spiega Pierdante Piccioni – “quando la mia storia è salita alla ribalta, dopo che alcune persone avevano letto il diario che tenevo nei lunghi mesi di buco nero, sono stato contattato da diverse case editrici interessate a pubblicarla: ne ho scelta una, la Mondadori, e così è cominciata l’avventura”.
Se la scrittura del diario, iniziata sin dai primi giorni dopo l’incidente e proseguita per oltre un anno, ha costituito una forma di autoprotezione (che ha permesso al dottore di non impazzire, aiutandolo a mettere ordine nei suoi pensieri confusi), la stesura del libro, durata qualche mese, e la sua conseguente pubblicazione sono state un modo per fare outing, per raccontarsi al mondo tramite una storia di riscatto e di speranza. Anche rileggere il libro è stato terapeutico, quasi catartico, per il suo autore: infatti gli ha consentito di guardare gli eventi dall’esterno e di prendere effettivamente coscienza della profondità dell’abisso che aveva rischiato di inghiottirlo, inducendolo poi ad esclamare, non senza una punta d’orgoglio: “Se ho attraversato e superato tutto questo, posso superare anche il resto!”.
Indubbiamente, “Meno Dodici” (disponibile in libreria dallo scorso 5 febbraio) ha anche un’utilità sociale e leggerlo può essere d’aiuto a tutti coloro che si trovano a dover affrontare un calvario simile a quello narrato nel romanzo, come dimostrano i numerosi messaggi pervenuti in questo periodo al dottor Piccioni: sono perlopiù parole di gente comune che desidera ringraziarlo per essere riuscito a mettere nero su bianco ciò che altri non avrebbero saputo spiegare nemmeno verbalmente.
Una volta compresa la forte valenza sociale dell’opera, gli autori non hanno esitato a dare il proprio consenso affinché la stessa venga riadattata per il piccolo schermo; secondo quanto ci ha rivelato Pierdante Piccioni, si sta già lavorando a questo progetto ed è altamente probabile che presto “Meno Dodici” diventi anche un film o una fiction. Staremo a vedere, nel frattempo però, godiamoci questa buona lettura, uno spaccato di vita vera che proprio in quanto tale è capace di farci commuovere, riflettere e a tratti perfino sorridere.