Chi diceva di “volare basso” aveva ragione, a posteriori. Ma a me la filosofia del conservativismo, della scarsa ambizione, del “stin calmus” “mi” fa angoscia, tristezza, in una parola la schifo. Le mie squadre debbono mostrare ambizione: l’ambizione di cercare di vincerla sempre e comunque. Se oggi avessero perso prendendo la seconda rete in contropiede mentre disperatamente si fossero proiettati in area alla ricerca del raddoppio, avrei masticato amaro ma con una carezza tenera per i bianchineri.
Invece oggi giocatori e allenatore hanno messo in scena una recita vergognosa, di quelle che rimandano direttamente al recente passato fatto di Anziate e prima ancora del Profeta di San Giovanni.
Tu chiamala se vuoi psicoUdinese.
La cornice del caloroso pubblico, mai raffreddato dall’acqua caduta fino alla fine del primo tempo ed al netto della brutta figura degli Offspring a palla e soprattutto dei fischi nel minuto di silenzio in memoria di C.A. Ciampi (sommersi dagli appluais del resto del bunker: anche per me non è stato un granché come presidente, ma durante il raccoglimento se non si è d’accordo si sta seduti, non si fischia), sì della curva ma anche del resto dello stadio è stato ammirevole.
Da anni, il Chievo è l’anticalcio per eccellenza. Un gruppo vecchio, sporco, brutto e cattivo il più giovane nel quale si è fatto fotografare con Vittorio Pozzo dopo il secondo trionfo mondiale del 1938. Fa giocare male tutti, mena come i fabbri ferrai anni ’70 ma non molla di un centimetro. Ed oggi, a onor del vero, hanno dato ai bianconeri una lezione memorabile, un misto di tecnica, tattica e organizzazione (assieme al solito orgoglio clivense). Sono contrario ai gemellaggi, ma oggi avessi partecipato al terzo tempo avrei fatto ai tifosi al seguito i complimenti per la prestazione dei loro ex-ragazzi. Bravi, tre punti supermeritati.
Ed in panca (oggi in tribuna) un gran bel tecnico. Il quale l’ha costruita perfettamente, contando sull’assenza del laterale svizzero bianchenero, e attaccando le fasce udinesi come fossero la Juventus contro il Real Giuggianese.
Lo scout della gara dice che l’Udinese ha tirato nello specchio cinque volte e i clivensi tredici: mai come stavolta i numeri sono bugiardi. I tiri pericolosi friulani, oltre la rete, sono stati due, uno per tempo. Di contro, fra i tiri fuori ci sono due enormi occasioni gialloblù sprecate al limite dell’area piccola.
Non so se fosse bene far giocare Armero e Wague dall’inizio, ma quel che appare chiaro perfino a me è che il mister bianconero ha atteso troppo a prendere contromisure adeguate: dal primo istante della ripresa, infatti, il Chievo si è apparecchiato di fronte all’area di Karnezis cingendola d’assedio; dalla parte di Wague scendevano sempre due avversari, di là Pablo non teneva più né Castro né Cacciatore (mica Garrincha e Bruno Conti). A quel punto perché non inserire un difensore vero, che so, Angella, a solidificare l’unica fase che oggi pareva contare per i bianconeri?
E quale sarà mai la necessità di attendere il cambio di borotalco Théréau, oggi incapace calcisticamente di intendere e volere, col volitivo Perica, attaccante baciato da Eupalla in persona e grazie al quale si sono portati a casa sei punti pesantissimi sinora?
Iachini ha sbagliato. E involontariamente lo ammette in sala stampa, dopo il rituale “due disattenzioni, due reti” che sta a metà fra la bugia pietosa e la bestemmia calcistica. Dice che la squadra ha inconsciamente pensato solo a difendersi dopo la rete del vantaggio, scordando che anche prima non aveva fatto molto altro.
Ha grosse responsabilità, Gioacchino da Ascoli, ma non gli si può dare il cento per cento della colpa e gli insulti, inaccettabili, del leonino popolo della tastiera. Ma oggi è dura per tutti, anche per coloro i quali ci credono e hanno dovuto ingoiare il centoventesimo boccone amarissimo. La finissero di chiamarla Dacia Arena, la smettessero di definirla “fortino”. Questo è un bunker dove sono passati tutti. Tutti.
Errori marchiani, però: Iachini dopo un’ora ha dovuto sopperire all’infortunio del Konungur ljónanna Hallfredsson (mercoledì saranno volatili per diabetici) decidendo di inserire lo spartano Pana Kone. L’idea non era malvagia: alzo la squadra, impedisco ai clivensi di attaccare in dieci, ne tengo occupati un paio in più. Due controindicazioni: la prima, che a quel punto dalla parte di Armero (grazie alla capacità di filtro del grecalbanese) sfondano proprio tutti; la seconda, che Kone è in edizione-Théréau, e si siede col prode francese a sorseggiare assenzio leggendo “Le Figaro” ed ascoltando Aznavour, di calcio nemmeno l’alba.
Iachini non ha colpa se oggi Sven Kums ha deciso di calarsi nel ruolo di centromediocre senza metodo, uno dei tanti passati all’Udinese da quando il progetto pare fare cilecca; se DePaul non ha mai sentito la famosa frase che il Paròn soleva recitare ai suoi centrocampisti “Venesia” (cosiddetti per la loro incapacità a passare la sfera con tempi accettabili) e che più o meno faceva “ciò déi, la bala t’à da darla quando che te devi, no quando che no te ghe pol più!”; se nonostante i ripetuti urlacci, i suoi undici si sfilacciavano anziché compattarsi, dando quasi l’impressione di non farcela più?
L’azione del raddoppio veronese è esiziale, per chi come me ci credeva e ci crede: rimpallo a centrocampo, sfera in profondità dove Castro parte dietro le spalle di Wague che lo marca come nemmeno in quarta serie; palla in mezzo, Cacciatore (non Garrincha né Bruno Conti) è solo in area piccola e deposita nel sacco del povero Oreste. Tutto questo, si badi bene, subendo una specie di contropiede. A difesa schierata. Al novantacinquesimo minuto. Amen.
Settantadue ore e sarà Fiorentina; dicono quelli bravi “ci saranno più spazi”. Sì, ma di fronte Sousa ha decisamente più qualità e un tasso tecnico invidiabile. mancheranno Widmer e Hallfredsson. Pur sempre in undici. Dei quali, misteriosamente, dopo una preseason da titolari sono scomparsi Fofana e Jankto. Del francese Iachini dice “deve maturare tatticamente”: se quelli maturi si sono visti in campo oggi, fra i titolari e qualche subentrante, viva l’immaturità del Seko da Parigi.