Nella mia vita mi è capitato spesso di chiedermi che cos’è l’amicizia e se esiste l’amicizia vera, quella che dura per sempre; ad oggi non ho ancora trovato una risposta definitiva a questa domanda: personalmente non posso ancora dire di averla sperimentata, in alcuni periodi (anche recenti) ho creduto di sì, ma ora purtroppo siamo di nuovo sul “ni”… A prescindere dalle mie esperienze personali non proprio incoraggianti, anche la società nella quale viviamo, impregnata di apparenza, opportunismo e superficialità, fa pensare che l’amicizia con la A maiuscola non esista più da tempo; ma chissà, forse potrebbe esserci qualche eccezione che conferma la regola? Beh, se ce n’è una è senz’altro rappresentata dal rapporto fraterno che lega Justin Skeesuck e Patrick Gray, due quarantacinquenni americani nati nello stesso ospedale a tre giorni di distanza l’uno dall’altro.
Sarà per questa curiosità, o forse perché le loro famiglie abitavano vicine, ma i due si conoscono da sempre, sin dall’infanzia hanno condiviso piccole e grandi avventure e crescendo sono diventati inseparabili, tanto che ancora oggi si definiscono “migliori amici” e dicono di amarsi come fratelli, affermazione ampiamente dimostrata dai fatti che mi appresto a raccontarvi.
Siamo nell’aprile del 1991 e i ragazzi non sono neppure sedicenni quando Justin sta andando a un torneo di baseball insieme a un amico neopatentato e l’auto sulla quale viaggiano finisce con le ruote all’aria; fortunatamente si tratta solo di una brutta avventura e i due se la cavano abbastanza a buon mercato, Justin con qualche escoriazione mentre Jason (questo il nome del giovane autista) soffre un po’ di più per l’insorgere di qualche ernia al disco. Quattro mesi dopo, l’incidente è già un ricordo, ma durante una partita di calcio il piede sinistro di Justin inizia a comportarsi in modo strano ed egli non riesce più a controllarne completamente il movimento; non appena il ragazzo espone ai genitori il suo problema, iniziano anni di visite e accertamenti, prima da un podologo, poi da un neurologo. La diagnosi tarda ad arrivare, ma almeno c’è un tutore in plastica realizzato su misura che si inserisce nella scarpa e gli sostiene il polpaccio, consentendogli comunque di usare il piede in maniera abbastanza normale.
Ovviamente Patrick è a conoscenza della patologia dell’amico, se necessario lo accompagna anche alle visite di controllo, eppure nessuno dei due giovani permette a questa malattia senza nome, che intanto progredisce lentamente, di rubargli il sorriso e la voglia di divertirsi, di vivere la vita appieno. Entrambi si laureano, si sposano e diventano padri (hanno ben tre figli ciascuno!), coinvolgendo anche le mogli nella loro amicizia, un legame che con il passare del tempo si rafforza sempre di più.
I muscoli delle gambe di Justin continuano lentamente ma inesorabilmente a indebolirsi, all’inizio degli Anni Duemila riesce a camminare per brevi tratti grazie a un paio di tutori e a un bastone che lo aiuta a sostenersi e che Patrick ha forgiato a mano appositamente per lui; più o meno in quel periodo arriva la diagnosi tanto attesa: non si tratta di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), come i medici avevano ipotizzato in un primo momento, bensì di una neuropatia motoria multifocale (MMN) acquisita, ovvero una malattia neurodegenerativa disimmune (derivata cioè da un’alterazione del sistema immunitario) che colpisce esclusivamente i nervi motori, non quelli sensoriali, quindi riduce progressivamente l’abilità di movimento ma non la sensibilità. È una patologia che di solito si manifesta soltanto in alcune parti del corpo, a cominciare dalle mani; nel caso di Justin però, ha fatto la sua comparsa attaccando i nervi dalla vita in giù, interessando in breve tempo una zona piuttosto ampia.
Ad oggi ancora non si conosce la causa di questa malattia, ma si presume sia stata “scatenata” da quel famoso incidente d’auto. Fatto sta che nel gennaio 2010 la neuropatia si estende anche agli arti superiori, colpendo prima la spalla destra e quindi, nell’arco di circa due mesi, entrambe le braccia; a questo punto Justin è costretto a modificare drasticamente la sua vita e la sua routine, non potendo neanche più esercitare la professione di grafico. Tuttavia non perde mai il buonumore, né la voglia di indipendenza e libertà, pensando che la vita è comunque degna di essere vissuta, nonostante le mille sfide che ogni giorno ci impone di affrontare; diversamente dall’amico, quando viene a conoscenza di questo repentino peggioramento Patrick reagisce con rabbia e sconforto, si rende conto di essere impotente, vorrebbe aiutare Justin ma non sa come…
Con il tempo però, capisce che il suo amico possiede una forza immensa, grazie alla quale giorno dopo giorno compie il miracolo di accettare la propria condizione per quella che è, traendone solo il meglio. Così decide di lasciarsi contagiare da questo atteggiamento positivo, in fondo dev’essere profondamente grato al Padre eterno per il dono dell’amicizia con Justin e per la fiducia che l’amico ripone in lui, permettendogli di essere parte della sua vita da oltre quarant’anni.
Ecco perché nel marzo 2012, quando i due “amici per la pelle” si ritrovano a San Diego, a casa di Justin, per il loro incontro annuale, Patrick non ha alcuna esitazione nel rispondere “Ok, ti porto io!“. Beh, penserete voi, sicuramente il padrone di casa avrà chiesto al suo ospite di accompagnarlo da qualche parte e lui, in nome della lunga e fraterna amicizia che li unisce, non avrebbe potuto reagire diversamente; partendo dal presupposto che una risposta del genere non è affatto scontata, neanche quando rivolgiamo la nostra richiesta a un vecchio amico (per esperienza diretta so che a parole tutti si dichiarano disponibili ad aiutarti, ma sono pochissimi quelli che accorrono immediatamente quando hai bisogno di loro), vi assicuro che in questo caso Patrick avrebbe potuto avere mille buone ragioni per rifiutarsi di assecondare Justin, anzi, nessuno avrebbe potuto biasimarlo se avesse voluto chiudere la questione dicendogli semplicemente: “No, tu sei pazzo!”. Eh sì, perché sapete qual è la fatidica domanda? Suona più o meno così: “Allora, ti va di attraversare la Spagna settentrionale insieme a me per circa 800 chilometri?” Questi 800 chilometri sono quelli lungo i quali si snoda la cosiddetta “Via Francese” (ovvero quella più conosciuta e frequentata) del Cammino di Santiago di Compostela, un pellegrinaggio con diversi itinerari per raggiungere l’omonima Cattedrale spagnola dove sono custodite le reliquie di San Giacomo Apostolo; fino a due settimane prima della visita di Patrick e della sua famiglia, Justin ignora completamente la possibilità di vivere un’esperienza del genere, ma poi, facendo zapping in una tranquilla domenica pomeriggio, si imbatte in un documentario di viaggio nel quale si fa riferimento anche a questo famoso Cammino, che solitamente inizia dalla località basca di Saint-Jean-Pied-de-Port (situata in terra francese, a circa otto chilometri dal confine con la Spagna), attraversa i Pirenei a Roncisvalle, giunge quindi in Galizia (una regione della Spagna nordoccidentale) e termina appunto a Santiago de Compostela, davanti alla già citata Cattedrale.
Justin rimane letteralmente estasiato da ciò che vede in televisione e si chiede se quest’affascinante avventura sia ancora alla sua portata, nonostante la sedia a rotelle elettronica che da qualche tempo è costretto a usare; dopo aver ottenuto l’approvazione della moglie, si domanda se il suo migliore amico sarebbe così pazzo da accompagnarlo in questo viaggio, del resto è l’unica persona che potrebbe condividere con lui una simile follia!
Ebbene sì, come già scritto più sopra, quindici giorni dopo Patrick accetta la proposta con entusiasmo, così la macchina organizzativa si mette in moto e quando tutto è pronto, ovvero circa due anni più tardi, questi pellegrini più unici che rari possono finalmente partire, è il 29 maggio 2014; ad accompagnarli in questo viaggio ci saranno una sedia a rotelle speciale a tre ruote e con un telaio rinforzato (progettata e realizzata appositamente per consentire a Justin di intraprendere il Cammino), due zaini contenenti l’indispensabile, una troupe televisiva che avrà il compito di documentare l’impresa, una moltitudine di persone che incontreranno lungo la strada e infine i due elementi fondamentali: la loro inossidabile amicizia e la loro fede cristiana.
Il Cammino di Santiago non è certo una passeggiata, neanche per chi lo affronta da pellegrino “normale”, figuriamoci per chi deve attraversare i Pirenei spingendo una sedia a rotelle! Eppure, nonostante i diversi momenti difficili, la stanchezza fisica e la paura di non farcela, Patrick e Justin riescono a portarlo a termine in 35 giorni, perfettamente in linea con la tabella di marcia degli altri pellegrini. Arrivati davanti alla Cattedrale provano emozioni contrastanti, agrodolci: ovviamente sono felicissimi di riabbracciare i familiari venuti lì ad aspettarli, ma sono anche dispiaciuti perché nel giro di pochi minuti dovranno abbandonare il gruppo di amici conosciuti nel mese appena trascorso e non respireranno più quello straordinario senso di comunità che avevano percepito durante il Cammino.
Questa fantastica esperienza vissuta insieme li ha toccati nel profondo e ha dato a entrambi una grande lezione di vita: grazie al Cammino di Santiago Justin ha capito che per quanto possa essere umiliante dover sempre dipendere dagli altri e dalla loro disponibilità ad aiutare, non bisogna mai rifiutare un’offerta d’aiuto, altrimenti si nega all’altro la possibilità di provare una gioia nella vita; dal canto suo, Patrick si è reso conto che le cose possono andare per il verso giusto anche se non abbiamo tutto sotto controllo, se non è tutto programmato in anticipo, inoltre ha imparato a rallentare un po’ il ritmo per godersi di più la vita, concentrandosi sui valori che contano davvero. È superfluo dire che da questo viaggio l’amicizia tra i due uomini ha tratto nuova linfa, rendendoli ancora più complici e uniti di prima; durante gli 800 chilometri percorsi i due si sono aiutati e sostenuti reciprocamente: Patrick è stato le braccia e le gambe di Justin, ma quest’ultimo è stato la vera forza motrice, ha sempre incoraggiato l’amico a non arrendersi nonostante la fatica e le difficoltà, fornendogli gli occhi per guardare il mondo da un’altra prospettiva, se vogliamo più intimistica.
Già prima di partire era chiaro a entrambi che stavano per realizzare un’impresa epica, senza precedenti; se fossero riusciti a portarla a termine (o anche soltanto ad avvicinarsi alla meta) non avrebbero potuto tenerla nascosta, non condividerla con gli altri sarebbe stato da egoisti e irresponsabili, ecco perché sin dalla partenza sono stati accompagnati da una troupe televisiva che ha scrupolosamente filmato ogni tappa del viaggio; gli stessi protagonisti hanno anche provveduto a catturare i momenti più significativi di quest’avventura in un diario, che poi è stato rielaborato e trasformato in un libro corredato di numerose fotografie.
Sia il libro che il docufilm sono usciti in America nel 2017 con il titolo “I’ll push you”, che è proprio la risposta che Patrick dà a Justin in quella famosa domenica di marzo di cinque anni prima; in Italia invece sono arrivati l’anno successivo con il titolo “Ti porto io”, un’efficace traduzione dell’originale. Qui potete vedere il trailer ufficiale del film sottotitolato in italiano e scoprire qualcosa in più sul Cammino, sul documentario e su tutti i suoi protagonisti, non solo Justin e Patrick; se però capite abbastanza bene l’inglese, il sito I’ll Push You, ovvero quello creato dai diretti interessati, è molto più completo e offre una panoramica delle diverse modalità attraverso le quali la loro esperienza di viaggio (lungo il Cammino di Santiago, ma anche e soprattutto nella vita di ogni giorno) può essere condivisa: invitandoli a partecipare a eventi o conferenze, acquistando il libro o il film, organizzando incontri nelle scuole o corsi di formazione aziendale che li vedano impegnati come relatori, o ancora partecipando a una delle gite guidate che permettono anche ai disabili di percorrere gli ultimi 111 chilometri di Cammino lungo la “Via Francese”, precisamente da Sarria a Santiago.
Il grande apprezzamento da parte del pubblico, che non è mai rimasto indifferente dopo aver conosciuto la loro storia, ha letteralmente spinto Justin e Patrick a fondare la società Push Inc., che mediante incontri, conferenze, weekend di formazione e corsi online si propone di aiutare le aziende e i privati a migliorarsi e affermarsi partendo dalla cura delle proprie relazioni sociali e dall’energia che il senso di appartenenza a una comunità riesce a trasmettere.
Possiamo ben dire dunque che Justin Skeesuck e Patrick Gray sono ormai diventati testimoni e ambasciatori di fede, resilienza e amicizia, ovvero di quei valori profondi nei quali a parole tutti crediamo, ma che purtroppo nella vita quotidiana (probabilmente troppo frenetica e “materialista” per lasciar loro spazio) trovano sempre meno riscontro.
Devo ammettere che conoscere la loro storia mi ha un po’ rinfrancato e ha riacceso in me un barlume di speranza, forse i miei ideali non sono poi così strampalati e avulsi dalla realtà, dovrei “semplicemente” essere così fortunata da incontrare le persone giuste per condividerli… Non so se questo capiterà mai davvero, ma in fondo nessuno mi impedisce di sognare, né di continuare ad impegnarmi perché il sogno diventi realtà; scegliendo di raccontarvi questa storia a modo mio, faccio a voi che avrete la pazienza di leggerla lo stesso identico augurio: possiate essere così fortunati da incontrare prima o poi dei VERI amici, persone con le quali condividere idee, pensieri ed emozioni, spiriti affini con i quali sentirvi in sintonia, capaci di dare e ricevere amore incondizionato, di accompagnarvi lungo il cammino della vita nonostante le mille difficoltà, la fatica e gli inevitabili momenti di stanchezza.