Poche chiacchiere, ancor meno polemiche: vittoria netta chiara cristallina. Chi dica il contrario, è in malafede, oppure abituato a guardar tornei rionali d’uncinetto.
Ci provano, tifosi e opinionisti azzurri, a sollevar scudi a difesa dei partenopei attaccando l’arbitro: réo, il pistoiese Irrati, d’aver cacciato il nume ellenicargentino Higuaìn e prima ancora il mister Sarri, che gli avrebbe “solo” detto <stai arbitrando da fare schifo>.
Mi cavo dalla scarpa questo macigno in origine di poche, troppe righe: sono da sempre un sostenitore di Fidél Sarri, terrigno uomo toscano di schiettezza, che guidava una squadra dal bel gioco, eccellente prolificità e in cima alle classifiche.
Da quando però le cose vanno meno bene, qualche gara in cui cioè Gonzalo non segna o la manovra si fa più farraginosa, parte la mazzarrizzazione del revoluccionàrio figlinese che si lamenta, in ordine sparso: di maglie a righe per avere diritto a più rigori; delle presunte tendenze sessuali dell’allenatore dell’Internazionale di Milano; del favoritismo agli avversari facendo giocare questi sempre prima e dando pressione alla sua squadra; oggi infine la causa è l’orario: troppo vicina al caffé con babà di mezza mattina: evidentemente gli avversari vi sono più avvezzi, a tale orario, grazie a diete meno mediterranee ma più ferreamente mitteleuropee.
Mi convinco: da victoria o muerte, siamo passati a vencer o llorar disculpas… Che tristezza. Un consiglio, signor Sarri: cresca. Mentalmente e professionalmente. Se l’orario diverso dalle quindici non Le va a genio, si dimetta e alleni l’Afragolese: troverà migliore soddisfazione.
Della gara avrete già letto commenti ed analisi: c’è pochissimo da aggiungere. L’Udinese è più in tutto: determinata, concreta, veloce, attenta, sistematica, concentrata, feroce. In poche parole, la migliore Biancanera delle ultime tre stagioni. De Canio, l’antipirla per eccellenza, prima dirime con calma e disinvoltura la grana-Totò assumendosi le responsabilità dell’esclusione (verità?), poi vince dieci a zero la gara con l’acclamato collega partenopeo. Gli impartisce una lezione tattica, ove l’inserimento dall’inizio di Badu in luogo di Hallfredsson dona al centrocampo friulano quell’imprevedibilità che mette in confusione il pari reparto napoletano, nel quale Marekiaro Hamsìk appare un ectoplasma e Allàn, uno che a Udine passava per essere sin troppo educato, si trasforma in Jack Torrance e ne assume lo stesso sguardo allucinato: “Baaaduuuu…. Sono a caaaasaaaa”.
Taccio dei rigori (netti) e dell’esecuzioni (inguardabili); taccio della rete casuale (trentesima) di Higuaìn, impegnatissimo a stabilire il record dell’ora d’imprecazioni argentine (i “pu*a” si sprecano); non posso invece far passare sotto silenzio la sanguinosa incapacità di Gabriel Vasconcellos, pupillo di Inzaghi il quale esordisce oggi nel Napoli e controlla un retropassaggio al miele con tale incapacità da risultare quasi imbarazzante. Duvàn ringrazia, traccheggia, scodella in area dove il ciclista Bruninho segna, a venti secondi dal thé di metà tempo, la rete del vantaggio pedalandola dentro a testa in giù.
I timori che nella ripresa, al solito, i bianchineri esplodessero sono presto fugati: segna da vero attaccante Monsieur Théréau, che inserendosi fra le due mummie difensive ospiti, la chiude. Sì: ci sarebbe tempo e spazio per il Napoli alla ricerca dell’equalizzazione; entrano Mertens, Gabbiadini, El Khaddouri ma tutto il furore si concentra nello psicodramma-Higuaìn, che perde palla da Felìpe, si gira e gli tira un calcetto ed una gomitatina sotto gli occhi di Irrati. Questi cava fuori il secondo limoncello e quindi il rosso. L’argentino diventa verde e prima batte le due mani sul petto dell’arbitro (meritandosi le tre giornate che spero gli saranno comminate), dicendogli le peggio cose; poi mena fendenti a compagni ed avversari (un calcione a Badu) prima di esser portato fuori a stento.
Il cuore grande dei tifosi partenopei, sottolineando l’ingiustizia (?), in tutto questo caos ha scorto solo le lacrime disperate del nueve, ricordando che Bonucci, che la Juve, eccetera eccetera. Capisco, ma non condivido.
Tre punti: belli, bellissimi, decisivi. A 34 si respira ossigeno, mentre Palermo, Carpi e Frosinone prendono schiaffi sonori. Sei punti di vantaggio a sette dalla fine, con la possibilità di giocarsela in casa con Torino e Carpi, mi fa pensare che, per una volta, ottimismo non ha fatto metaforica rima con ingenuità. Un’altra stagione da chiudere il prima possibile, per poi allestire una formazione più all’altezza di tifoseria e bunker.
E rileggendo la conferenza stampa di Sarri, mi sento decisamente di chieder al CONI il vessillo tricolore alle prossime Olimpiadi. Quando l’Udinese ha meritato carezze, come oggi, sono stato il primo paterno dispensatore; quando invece, così spesso, dovevano volare i calci nel sedere ho indossato gli scarponi chiodati. Vedo invece che su altri campi troppi professionisti, a tutti i livelli, fanno fatica a pronunziare frasi facili come “oggi l’Udinese ha vinto perché ha giocato meglio, e noi invece abbiamo fatto cahare”.
E penso a quell’ottuagenario titolare di grossa azienda con cui lavorai da adolescente, studente in cerca di qualche lira, il quale mi disse “se ricordi bèn, tuti j’è bravi se le cosse le vanno ben. Se te gà capacità se capissi quando che le cosse le vano mal, e ti no te cerchi el rimedio, ma solo qualche mòna che se cjapi la colpa”.
Altro non aggiungo. Basta questo. E la richiesta neanche tanto tacita di vincere a Montellandia, domenica, per santificare la salvezza e salutare d’un colpo l’allenatore migliore del mondo, il centravanti colombiano più forte del mondo e il presidente di società più capace del mondo. Capitemi.