“La solita strada”, bianca come i punteros bianchineri lasciano le reti avversarie in giro per l’Italia, ché le gite europee sembrano lontane quanto quelle immagini in bianco e nero a me tanto care, quelle che mostrano scaffali di calamite (per auto) che costano centoquaranta lire cadauna.
A me non interessa, davvero, sapere come farà il prode Gioacchino da Ascoli a rivoltare la formazione a lui affidata in una sola settimana; non interessa davvero sapere che l’azionista di riferimento si è concesso una giterella mediterranea, distaccatosi dalla patria albionica, dove domani e domenica piove e tutto si spiega.
Non interessa del modulo, degli interpreti; non interessa di leggere sfoghi personali di giocatori, che parlano come Fernandel ma scrivono come Moravia, evangelici ma offerenti un dubbio amletico: un latino “noli me tangere”, o un greco “me mou haptòu”?, ‘non mi toccare’ o piuttosto ‘non tenermi qui’?
Vittoria deve essere.
Perché avete rotto le tasche a tutti.
Con i vostri falsi proclami; con un’espressione calcistica sempre meno attraente; con un’attenzione verso i committenti che sfiora ormai la derisione.
Domenica sera arriva al Friuli l’Empoli, diretto da Martusciello e privo di Maccarone ma con un Gilardino che per dedizione e impegno considero ammirevole, arrivato a trentaquattr’anni con due volte la voglia di uno qualsiasi dei nostri.
E vittoria deve essere.
Oppure?
Oppure me ne vado. Via da questo mondo pallico-non-più-eu; da questo ambiente bianchenero che vende Verre per cento lire, e vorrebbe acquistare dal Trapani un croato buono, ma chiedono un po’ troppo anzi prima bisogna vendere uno degli attaccanti in rosa, i quali non segnano neanche con la matita copiativa; via da quelli che crollasse il mondo ma dietro si gioca con Danìlo e due a scelta, tanto se si perde diamo la causa ad arbitro e sfortuna; via da questo mondo che il mercato si fa con calma, peccato che rimangano quattro giorni di cui quattro impegnati a cedere qualche esubero e all’ultimo secondo ecco un turkmeno o un panamense in prestito dai gialloneri, uno che lassù paga il biglietto in tribuna tanto è valutato, ma quaggiù “è il profilo giusto” (non mi riferisco a Kums).
Me ne vado da questo mondo che ha spazzato via ad uno ad uno i sogni di un bambino mai cresciuto che dorme dentro di me, ché il calcio è business ma nella mia azienda se i risultati non arrivano chi paga dazio non sono certo i miei clienti; me ne vado da questo mondo dove “l’Empoli è una buona squadra” e qualche anno fa contro la medesima franchigia in edizione nettamente più forte abbiamo bestemmiato un mese per uno zero a zero, dopo aver preso pali traverse e rigori negati. Me ne vado da questo mondo dove non dobbiamo più guardare ai più forti ma cercare con affanno le tre peggiori, onde sperare in una salvezza rubacchiata con due vittorie inaspettate ed un pareggio burla.
Me ne vado da questo mondo inaugurato da Guidolin, mi duole dirlo, quando in un’annata (la sua ultima) grigia e triste disse “non dimentichiamo mai che noi siamo solo l’udinese”, intendendola così, minuscola. Solo perché poneva innanzi alla realtà delle cose il suo rapporto conflittuale con il datore di lavoro, quando invece allora come oggi noi siamo l’Udinese, e lo mostrano lo dimostrano i sostenitori bianchineri ogni sabato, domenica, fieste e dis di vore, seguendo incessanti la propria squadra come stesse lottando con i rosanero di Elkann per la conquista dello scudo.
E dopo di lui furono il simpatico profeta di San Giovanni, il cupo Anziate, l’educato ma piattissimo materano ed infine il prode Gioacchino: tutti sulla stessa lunghezza d’onda, se si vince glorificateci, se si perde cosa volete mai, siamo solo l’udinese.
Lo so, i dirigenti giocatori tecnici dell’Essepià non sanno nemmeno della mia esistenza, se me ne andassi dal loro mondo nemmeno se ne accorgerebbero. Ma perderebbero chi segue questi colori da più di quarant’anni, sempre da quell’Udinese-Marzotto 0-0 quando Giacomini e Galeone ancora giocavano per la biancanera.
So anche che probabilmente non succederà; che alla prossima occasione sarò ancora qui cercando spunti positivi in una situazione generalmente desolante. Perchè anche senza capirci qualcosa, la dabbenaggine è pari alla voglia di tornare da te.
Vincetela. Vincetela, perché comunque, nessuno escluso, mi avete proprio rotto il carro. Forse perché, come Luigi, sono uno che non sa far niente nel vostro mondo che sa tutto.