Una sconfitta che fa male, malissimo: perché Udine ha giocato da Udine solo in un paio di rush, all’inizio del primo e ultimo quarto, ed in quei frangenti ha annichilito l’avversaria. Ma nel resto della gara si è trascinata in un morbidissimo atteggiamento che ricorda da vicino quello che meritò solenni schiaffoni da Mantova o Trieste.
Piacenza ha giocato da squadra solida, sorniona, veleggiando sulle difficoltà udinesi e vincendo il terzo periodo 28-14 cambiando l’inerzia della gara. Udine ci prova e rimonta fino a 64-66, ma oggi i nostri americani non valgono purtroppo la consistenza di Kenny Hasbrouck che con una tripla porta, a meno di un minuto dal termine, i suoi a sei punti decisivi di vantaggio.
Sì: perché le ultime quattro azioni, che non hanno fruttato punti, sono capitate fra le mani del giocatore più indicato, entrato dopo 5’ di sosta nel periodo: ma il figlio del Bronx sbaglia due liberi su due (mai successo), poi una tripla a campo completamente aperto, un tiro dall’angolo che finisce sulla struttura del tabellone ed infine si invischia in un’entrata senza senso, quando Udine era sotto di sette punti.
Non ho parole: Piacenza è una buona squadra, detto e ridetto, ma oggi Udine l’ha ingigantita oltre ogni merito. E mentre sotto le plance tutto sommato Zacchetti e Cuccarolo hanno disinnescato i centri avversari, specialmente su Hasbrouck non è stata resa la cortesia della marcatura che questi ha riservato a Ray. Per due quarti è stato fuori dalla gara, l’ex-Vipers, ma un’entrata e due triple a ridosso della sirena di metà gara lo riportavano sul parquet, da dove psicologicamente ed agonisticamente non sarebbe più uscito.
Peggio di sempre la gestione dell’attacco: Udine avrebbe potuto e dovuto allungare con perentoria determinazione quando Piacenza le aveva dato strada. Ma i nostri play, specialmente Andrea Traini (meno un Vitto Nobile più solido anche se meno fantasioso), hanno reso troppo caotica la circolazione della palla. Aprendo un capitolo proprio sul play marchigiano, appare preoccupante la sua involuzione. Spesso ne ho indovinato la sensibilità, che lo rende vittima di momenti meno felici, ma dalla “depressione” agonistica si deve uscire parlandone: coi compagni, con il coach, con i propri cari. Assieme alla sensibilità ne indovino crismi da buon giocatore, ma la squadra va condotta per mano proprio nei momenti in cui gli avversari paiono giocare in fiducia e sulle ali dell’entusiasmo. Quindi, contumace la regia, finché ha tenuto Okoye, dieci punti nel solo primo quarto, l’equilibrio regnava; calato il nigeriano, non sono bastate le bombe di Pinton e le discrete prestazioni di Ferrari e Cuccarolo a tener su la baracca.
Lardo si è scusato con i supporter per la pessima gara: è successo diverse volte quest’anno. Ma stasera purtroppo dovrebbe recitare in primis il mea culpa. Perché Piacenza, un girone fa o domenica scorsa, è esattamente questa cosa: Kenny con un carico enorme di responsabilità; Infante, centro irritato e nervoso; Borsato che tira anche dal bagno di casa sua, e talvolta trova una serata da cento per cento come stasera. Sono strasicuro che il coach avrà preparato la gara delineando esattamente pregi e difetti dell’avversaria, ma se i giocatori, non tutti ma troppi, ne hanno capito poco significa che, forse, non si è spiegato sufficientemente bene.
La classifica torna fastidiosa: non preoccupante ma fastidiosa. E all’uopo arriva un filotto di gare da cui trarre quattro, se non sei, punti: A Recanati, domenica prossima; in casa con Forlì e Roseto a seguire. Ci sono tutte le chance per salire di nuovo ad una posizione decente, anche se oggi probabilmente Udine saluta anche le ultime speranze di playoff; se però si gioca come stasera, con intensità rivedibile e difesa accettabile solo per venti minuti, allora già contro Reynolds e compagni sarà difficile salvare la ghirba.
Ma mi fido di Micalich, Pedone e Lardo: sarò un fesso, ma mi fido della loro capacità di rinserrare le fila e trovare mei giocatori la concentrazione assoluta e maniacale che ha permesso di portare a casa gli scalpi inaspettati di Treviso e Fortitudo. Sempre, ovviamente, con un occhio al mercato. O meglio ancora alla porta dell’infermeria, da cui si spera finalmente di scorgere le sagome di Truccolo, Vanuzzo, Castelli.