… Di una settimana triste. La “mia” Bruxelles, la mia métro due-sei, sventrate squarciate ferite. E oggi il quattordici che se ne va in cielo ad insegnar calcio: un uomo arrogante e antipatico, un giocatore sublime ed emblematico. Hendrik Johannes saluta e se ne va a neanche settant’anni, le immagini appena appena a colori, anzi a colore orange, ci rimarranno.
Altrettanto indisponente il cittì (quasi ex) della Nazionale azzurra: però un allenatore da Dio. La squadra ha la sua impronta, la sua arroganza tattica pur partendo da una base decisamente scadente, rimpolpata da gente come Eder e Jorginho. Roba da rugby.
Lo sport italiano più popolare è in posizione subalterna rispetto a tanti, troppi altri. Mille le ragioni, ma se un paese cone il Belgio, grande come il centro di Udine, impone una scuola calcio fatta di educazione e talento e presenta al mondo Hazard, Mertens, Fellaini e compagnia calciante mentre l’Italia assolda mediocri semibrasiliani per farne sedici, lo si deve ad una Federazione inesistente.
C’è chi si rammarica per la mancata imposizione da parte FIGC della convocazione di Antonio Di Natale, ormai al passo d’addio con il calcio giocato, il quale avrebbe altresì salutato l’Azzurro nel bunker Dacia che da dieci e più anni è il suo palcoscenico. Conte di certo se n’è fregato, come di tutto il resto: lo ha fatto alla Juventus, lo fa oggi alla Nazionale e lo farà al Chelsea. Dovesse cacciar via uno come Terry (che per fortuna non troverà a Londra) lo farebbe senza mezza lacrima, con la consapevolezza di chi ha in testa un progetto, e perseguendolo è disposto a passar sopra ogni cosa. A Tavecchio credo lo abbiano imposto poteri alieni all’Abbondio di Ponte Lambro; adesso mi vogliono convincere che questo prév’te possa convincere Don Fabio Capello ad allenare gli azzurri nel prossimo biennio per una cifra ragionevole. Va bene, adesso prendo il sottomarino giallo e mi reco sull’isola deserta dove potrò intonare le migliori canzoni di Dario Zampa assieme a Michael Jackson, Elvis, la Winehouse e Jim Morrison. Suona il basso il vero McCartney, quello morto quasi cinquant’anni fa.
La Federazione Italiana Giuoco Calcio non esiste più: oggi comandano in Europa tedeschi, franzosi, belgi e spagnuoli, prova ne sia la soggezione con cui il direttore di gara di stasera, dotato di straordinari padiglioni auricolari e di una maglia che neanche un semaforo umano di Delhi, ha affrontato i campeones: rete spagnola in fuorigioco di un metro, gialli non sventolati, carezze qui e lì. Amichevole, dite? Fossimo stati ai prossimi Europei francesi, sarebbe cambiato nulla.
Siamo tanto inutili, calcisticamente parlando, che quando eleggono a capo della Fifa un ragioniere del catasto svizzero lo spacciamo per praticamente italiano. Sì, più o meno come Jorginho o Thiago Motta.
Gianni Infantino: colui il quale mentre i criminalissimi Platini e Blatter si riempivano le tasche di denari da Tonga e Vanuatu, da segretario particolare del plenipotenziario Blatter giaceva sansa dubitar de nulla. Poi gira un anno intero in centoventi paesi a raccogliere consensi, frega sul filo di lana il mediorientale avversario e, in nome del nuovo che avanza, sorride piangendo mentre pensa alla màma. Invece io vedo contiguità e continuità (svizzera), e un’Italia tenuta ai margini, più o meno come Grecia e Portogallo.
D’altra parte (e insisto), quando i presidenti europei di federazione si riuniscono, all’ingresso del pacioso brianzolo probabilmente un cattolicissimo ispanico gli si avvicina mormorando Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístae, sanctis Apóstolis… E il nostro ineffabile, sorridendo, gli risponderà “Caro Optì Pobà, se parli la lingua delle banane non puoi mica giocare nella Lazio…”
Ammetto: questa era poco pop. Ammetto: Tavecchio mi sta sui cabasisi, specie dopo che oggi si è presentato bel bello in Loggia del Lionello, sorridente, dopo aver fatto carne di porco della tifoseria friulana solo una settimana fa. E, mi pare, nessuno che gliene abbia chiesto conto. Sotàns: di nome e di fatto. Che stasera urlavano “Insigneeee” ma fra nove giorni lo insulteranno vomitandogli addosso “noi non siamo napoletani”. L’ultima gara della Nazionale che ho visto risale al 1981: al sabato di Pasqua giocammo contro la DDR e la maggior parte dei giocatori la presero come una vacanza. Rischiarono anche di perderla, quando Zoff uscì sull’undici avversario, che leggo chiamarsi Hoffman. Furono fischi, tanti quanti gli applausi di stasera per una prestazione tutto sommato incoraggiante. Che mi sono soavemente perso senza indugio alcuno.
La Nazionale perde Conte, e per me è una colpa: il salentino va dove lo porta il taccuino, lo sanno bene i rosanero savoiardi, ma andava fatto uno sforzo per prolungare il contratto sino al 2018. Non so chi potrebbe far giocare meglio quest’accozzaglia di mediocrità, dove uno come Zaza sembra quasi Neeskens. Infatti stasera hanno mostrato inusitata gioia nel giocarsela contro un’avversaria presuntuosetta, tutta presa dal proprio nojosissimo tiki-taka condito da troppi veterani, e comprimari senza grandi velleità. O forse il momento migliore per loro è alle spalle. Vedremo cosa succederà in Francia, dove mi giocherò il solito euro sul Belgio.
Vedremo. Intanto ci siamo presi una settimana di ferie dall’Udinese e dalla sua situazione precaria, che tanta gente come stasera di certo farà fatica a radunarle attorno a sé. Eppure basterebbe poco: una squadra ben costruita, un gioco decente, qualche rete in più, la dimostrazione che ai sacri colori bianchineri ci tengono: proprietà, dirigenza, tecnici e giocatori. Vado contro corrente: il Napoli viene al momento giusto. perché con la nuova guida gli undici che scenderanno in campo potranno lasciar andare il braccio, come si dice nel tennis, senza timore alcuno di brutte figure.