Tutti affascinati del trionfo del Leicester, il cui nome la gente ha finalmente imparato a pronunciare, e beatificato Claudio Ranieri, passato in una sola annata da “er fettina” a “Sir Claudio”, per le plaghe nordestine è tempo di rifocalizzarsi sulla triste realtà: dopo la stagione che sappiamo, afflitta da valori sportivi e morali mediocri, da un allenatore Anziate del tutto avulso dall’ambiente e dalla nobiltà friulani, siamo arrivati tristemente a giocarsi la permanenza in massima serie negli ultimi centottanta minuti. Inaccettabile.
A Bergamo, domenica pomeriggio, ci sarà un fiume di tifosi bianchineri, veri scudettati in questo campionato per un attaccamento ai colori che definire ammirevole è assolutamente limitativo; come detto e ripetuto, sono ultracerto che festeggeranno la salvezza, al rientro, nei numerosi autogrill che costellano l’autostrada A4.
Ma queste sono cose prosaiche: il commento di un caro amico alle immagini dei tifosi delle Foxes, festanti in giro per i pub di Leicester, era imperniato sul carpe diem, ma soprattutto sull’amara considerazione che a Udine, una fortuna del genere non capiterà mai.
Pensiero razionale e comprensibile. Ma… Sì, ci sono dei dubbi, più d’uno. Rimpianti? Mah. Non so. Di certo qualcosa che si poteva fare e non si è voluto perseguire.
Lontani i tempi di Sansòn e Mazza, ma già nella stagione Zico-II si è perso il treno, cacciando Ferrari e preferendogli un Luis Vinicius Demenezés ormai imbolsito. Sarebbe stata la sua mediocre, penultima stagione di carriera.
Veniamo a tempi di tivù “a colori”, se mi passate il termine.
1997: Zaccheroni mette in scena la vera, autentica seconda edizione dell’Arancia Meccanica dopo quella di Cruijff, Neeskens e Rinus Michels; trequattrotre, una formazione che possiamo recitare quasi come l’Avemaria, giocatori che presi singolarmente non pajono fenomeni, ma messi assieme formano una corale solenne, beethoveniana e mozartiana, con tratti dodecafonici. Oggi l’immenso Keith Haring compirebbe cinquantott’anni (lui sì rimpianto, a trentadue salutò timidamente, nascosto dietro gli occhiali da nerd), e sì, quei ragazzi radioattivi ci fecero innamorare. Terzi in classifica quando in Lega dei Campioni ne andavano solo due, cinque punti dall’Inter e dieci dalla Juventus scudettata. L’anno successivo sarebbe potuto essere quello del consolido, invece si decise di smantellare la squadra, vendere gli spicchi più significativi dell’arancia (alcuni dei quali, col mister, vinsero lo scudetto al Milan) e ricominciare da zero.
2004: Spalletti riesce a conquistare stabilmente la panca biancanera, dopo averla salvata nel 2001 viene richiamato in vece della S-Ventura ligure e pian piano fa crescere il gruppo, ricco di talenti come Jankulovski, Pizarro, il duo DiMi-DiNa, Kroldrup eccetera. Nel 2005 è Champions per la prima volta, eppure (lì c’è una correita fra tecnico e società) il certaldino si dà alla macchia salvo riapparire a Roma, in giallorosso, sorridente a fianco della signorina Rosella Sensi. L’Udinese perde i pezzi pregiati e con Cosmi si ricomincia da zero, anzi sottozero (Juarez e Vidigal sono i pezzi pregiati, assieme al samurai Rossini, di un mercato pre-coppacampioni non certo da ricordare) con esiti di cui ci ricordiamo bene (il guru Galeone risolse la pratica con un pareggio a Messina).
Infine 2010 – Guidolin-II: arriva, infila quattro sconfitte di fila, si teme per la sua panchina ma dalla gara immeritatamente persa a Bologna dopo un dominio totale inizia una cavalcata vera e propria: solo una flessione a tre quarti di campionato non permette all’Udinese di contrastare Inter e Milan per il titolo. El Nino Maravilla, il boy di Tocopilla, illumina i campi italiani di classe e colpi di genio, tutt’ora insuperati a queste latitudini; a fine campionato, encore une fois, depauperamento del portafoglio-giocatori e ciao ciao miglioramento continuo. L’anno successivo si comincia schierando all’Emirates Stadium gente come Joel Ekstrand e Neuton: senza commento. Ci si riqualifica per i preliminari di Champions, ma una seconda rata di cessioni rende pure il Braga uno scoglio insuperabile.
I savi mi dicono: ringrazia i Pozzo per vent’anni di serie A.
Io non ringrazio nessuno.
Perché preferisco una candela che brucia il doppio e dura la metà, anziché assistere al triste spettacolo del sagrestano che spegne i moccoli per risparmiare la cera.
Non sono più un tifoso perché non c’è nulla, nell’Udinese, che mi ricordi le mie, di Udinese: quella di Giacomini, di Ferrari, di Zaccheroni, di Spalletti e del Guido. Si è scelta la mediocrità plumbea di una giornata uggiosa anziché cercare il sole dove questo splende. Mi dicono, i savi di cui sopra, “tanto lo scudetto non te lo fanno vincere”. Quindi meglio neanche provarci?
Venti partecipano. Una vince. Non ho nulla contro chi non riesce a trionfare come la Juventus, cinque hurrà di fila: ho molto da dire invece su coloro i quali gestiscono le squadre come un tressette al meno, sperando in un settimo posto che possa far loro dire “ah, per poco…” ma in fondo meglio così. E no, non avrei mai chiesto a Giampaolo Pozzo di trasformarsi in Thohir, o Moratti, o Berlusconi.punto.zero: la politica intrapresa anni fa, ricercando Sànchez o Ramzi soffiandolo a grandi squadre, pur senza svenarsi di spese folli, sarebbe attualissimo. Poi leggo che Penaranda e Success se ne andranno a Londra, che a Udine arriverà l’ennesima infornata di Insua e Iturra, e mi chiedo perché due giorni prima di una disfatta come quella di sabato passato Pozzo, a Cormòns, abbia detto “sono stanco di pensare ai quaranta punti, è ora di puntare più in alto”.
Eppure i tifosi, che questa maglia amano al di là delle scarsissime doti dell’attuale rosa, se ne fregano e seguono la squadra tifandola anche quando questa è già andata nello spogliatoio. Ho sempre la speranza che qualcuno prenda ad esempio il comportamento dei supporter.
Ed ascoltare il direttore generale, sapendo com’è andata con Antonio di Natale, affermare che “avremo modo di fargli la festa” dopo Carpi, per quanto la cosa abbia buone fondamenta mi lascia un bel po’ d’amaro: il patrimonio tecnico e morale della squadra va tutelato. Cacciare Pinzi e dargli la targhetta sei mesi dopo è ipocrita, e solo l’educazione e la statura morale di GPP66 gli ha permesso di non esclamare “grazie, ma forse non è il caso”.
Vincete a Bergamo. Ne avete la possibilità, il dovere. Perchè Questa. È. Udine. E chi non l’ha capito, sia giocatore, tecnico, dirigente o proprietario, si accomodi pure all’uscita anziché minacciarlo solamente.