Già: le sofferenze più intense sono quelle che abbiamo provato noi, da fuori, leggendo che si sarebbe chiusa la ripresa al 53’ e temendo un serrate dei rossoneri, ormai senza un domani.
Invece oggi “er più figo der bigoncio”, che pensa realmente di essere molto bravo (e forse lo sarà anche) decide di insegnare al prode Gioacchino da Ascoli come si allena. Dall’alto della sua giacchettina trendy, mano in tasca, ciuffo impeccabilmente pettinato e aria insofferente da borghese partenopeo, degli undici iniziali (decisamente poco incisivi) cava fuori due mediocampisti (Sosa e Poli) inserendo Honda e Lapadula, mister “9,5 milioni” e sogno estivo bianchenero… Tutto bene: solo che sino a quel momento in mezzo al campo Yabada-Badu e Konungur ljónanna Emilione avevano ben frustrato le offensive (?) rossonere, mentre davanti alla difesa Kums offriva quel “prefiltro all’ingresso” che dovrebbe permettere a Danilo e soci di evitare lanci lunghi verso nessuno, triste marchio di fabbrica della gestione biennale “San Giovanni-Anzio”. Compatta l’Udinese, sfilacciato il Milan, e con due in meno lì, in mezzo, ovvio che (in assenza di vere e proprie occasioni dei casalinghi) gli spazi a disposizione per i bianchigrigi (maglia censurabile) udinesi sarebbero aumentati.
Ovvio per tutti, non per l’aeroplanino.
Ed è subito Perica.
Iachini ha vinto contro il blasonato (dalla stampa ma non nelle bacheche) trainer rossonero perché l’ha preparata meglio, questa gara. Montella assicurava di aver individuato i punti deboli dell’avversaria: forse però ha visto le gare perse per un modulo di gioco societario ma non iachiniano, pensando quindi di trovare più spazi sulle fasce e, uscendo i nostri a coprire queste, un’area di rigore con molte lacune. No: giocando a quattro, con tre compatti poco davanti; con Abate ed Antonelli tutto sommato medi, se non talvolta mediocri; con un Bacca spettatore pagato, l’unico tiro in porta dell’intera gara è stato lo shoot al volo di Sosa, stampatosi sulla traversa. Stop.
Il mister locale, come sempre sportivissimo, sostiene come la propria squadra abbia giocato meglio, meritato quantomeno il pareggio e subìto una rete “fortunosa”. Egli si definisce “chiamato a risolvere i problemi”, come dire che se perdono non dipende da lui. prendo atto.
Gli confesso un segreto: a capo della sua società non c’è più mister “attaccare!”, ma un manìpolo di capitalcomunisti cinesi, con una relativa capacità di accettare sconfitte e scuse. Chiedere referenze al signor Mancini: non è (più) una questione di denari, o forse lo è ancor più di prima.
Ma chissene.
Sei punti in tre gare è bottino che non mi sarei atteso; sei punti soffrendo molto (per metà prima frazione) in casa con l’Empoli e niente a Milano, pareva speranza ancora più recondita. Ma questo è un punto di partenza. Solo un punto di partenza.
Gioacchino non è pirla: a differenza dell’Anziate, il quale (anche recentemente ad una radio nazionale) sostiene come l’unica maniera di giocare contro le “grandi” è mettere un gran portiere fra i pali ed un autobus davanti all’area piccola (quel che capita, capita), Beppino sta faticosamente cercando di quadrare il cerchio del gioco friulano imponendo alcuni piccoli, grandi dettami tecnici e tattici. Per noi smanianti amanti di Eupalla è come stare chiusi da tre anni in una cripta e percepire, forse solo sognando, refoli d’aria fresca entrare da qualche pertugio creatosi nel buio, nel buio totale di tre stagioni devastanti.
Sogno? Oppure c’è vita su Marte? Davvero l’Udinese è parsa formazione ordinata, coperta, veloce nel ripartire, imprecisa negli ultimi venti metri ma decisissima nei propri trenta? Davvero c’era un piccolo Manicone (come lo ha definito l’amico Roberto) belga che si faceva dare palla dalla difesa e restituiva alla squadra geometria? Davvero Zapàta e Perica rientravano a pressare fin nella propria metà campo? Davvero l’Udinese ha sovente tenuto palla, girandola senza fretta né frenesie, irretendo gli avversari anziché subìre la stessa lezione (praticamente da tutte le squadre nel recente passato)?
Non lo so. Non mi abbattevo dopo le quattro sberle romane, non mi esalto oggi ma c’è una decisa differenza fra le due vittorie di questa stagione e quelle effimere delle ultime due temporade, parse alla fine illusorie: ci si è arrivati con un abbozzo di gioco, con la tattica e non solo col cuore, soprattutto ci si è arrivati senza subire reti per 180’ consecutivi, inaudito fino a tre settimane fa.
Domenica il tifoso bianchenero dovrà arrostire le rituali grigliate fuor dallo stadio fondendole col proprio pranzo, dato che l’ora di inizio sarà quella. Di fronte l’avversario meno indicato in questo momento, quel Chievo che gioca male ma fa giocare ancora peggio gli avversari. Se alle tre di pomeriggio leggeremo “meno 31” sulla porta dello spogliatoio, soprattutto se l’Udinese del prode ascolano Gioacchino continuerà questo processo di crescita e consapevolezza, allora potremo finalmente parlare di svolta. Ho chiesto dieci gare per capire, le prime tre qualcosa di significativo lo hanno mostrato: e non finisce qui.
Sì: probabilmente c’è vita sul Pianeta Rosso.