Una provocazione?
Il “capitano” dell’Udinese dovrebbe (in virtù del recente passato e della sua carica “istituzionale”) pagare di tasca propria tutte le spese sostenute dal manìpolo di eroici tifosi giunti al Sant’Elia per sostenere i propri colori: il bianco e il nero. E marginalmente quello che le odierne maglie contengono. Genti meccaniche e di piccol affare.
Perché il Cagliari non mi ha fatto tutta questa impressione; squadra di media statura tecnica e tattica, ma di immensamente superiori doti morali.
Sì: in vista dei festeggiamenti per il 120. compleanno dell’Udinese calcistica, i giocatori hanno dimostrato apertamente di esserne mediamente coinvolti. Per loro pare tutto normale: normale prendere duecento reti tutte uguali; normale perdere gare con formazioni decisamente alla portata; normale guardare in faccia chi per loro spende soldi tempo energie.
Per me non è così.
L’effetto-Delneri pare essere svanito, perso fra le urla vane del Gigi Aquileiense che non si capacita di come mai in difesa si commettano sempre gli stessi errori.
Semplice, Luigi mio: sempre gli stessi sono i personaggi e gli interpreti.
In particolare il capitàno di cui sopra, e non mi si dica che ce l’ho con lui, da almeno tre campionati è spesso nell’occhio del ciclone per scelte tattiche in campo non esemplari, all’altezza del comportamento con i tifosi (l’anno passato) e alcuni compagni (settimana passata). Ma chiede scusa, paga la multa, passa la nottata e “avanti col brùn” (citazione per udinesi doc).
Eh no, amici miei: per presunte frasi a sfondo razzista (mai confermate), John Terry perse la fascia da capitano della nazionale inglese e Capello il posto da CT; presunte frasi, ho detto, e mai confermate. Qui sappiamo cos’è successo, ed in un mondo normale il signore in questione se ne starebbe comodo sulle scomode scalee del Sant’Elia, a costo di far giocare da centrale Filip Vaško. Invece no, va tutto bene e anche oggi la difesa da lui diretta prende reti che gridano vendetta al cospetto di Eupalla. No, non sono così sciocco da pensare che la colpa sia solo del suddetto; ma sì, penso che la sua esperienza dovrebbe guidare i compagni e non andare di continuo in barca assieme a loro.
Perdonerete se non entro nel merito tecnico della gara, avrete letto e straletto; perdonerete se non mi chiedo come mai un Cagliari infarcito di quasi-ex-giocatori abbia messo in difficoltà i potentissimi bianconeri, abili in un sol colpo di azzerare mesi di faticosi progressi a questo punto evidentemente sopravvalutati dal sottoscritto; la gara sarebbe anche potuta finire pari, coi due pali colpiti (casualmente) dai friulani, ma non sarebbe cambiato il sentimento di frustrazione che provo.
Ed oggi mi sento tradito anche da Luigi d’Aquileia. Mi sarei aspettato una formazione “ignorante”, con un tridente vero in cui a fianco a Théréau e Zapata (anche oggi inguardabile e sovrastato dal novantaseienne Bruno Alves) si fosse schierato Perica o Penaranda. E dietro Angella e Wague in mezzo, ai lati Widmer e chiunque altro, tanto Adnan o, che so, Geromin (butto un nome a caso a prescindere dal ruolo) non sarebbe cambiata la musica. Invece no: Matos. Danìlo. I soliti noti.
Tutto ciò, come detto, all’alba del mercoledì-aperitivo in cui, nella curva nord dell’impianto che neanche sotto tortura chi di dovere chiama col suo vero e storico nome, i giocatori dovrebbero incontrare i tifosi. I quali, con che cuore si dovrebbero parare di fronte a questo manìpolo di ciabattanti?
Ma hanno ragione, avete ragione. In fondo chissene, il prossimo anno dal trampolino dell’arena spiccherete il volo per essere ammirati in grandi palcoscenici, come vaticinava di sé stesso il levantino laterale udinese. E fatevelo, il vostro show, mercoledì, all’Arena.
Se avessi possibilità, tempo, conoscenze, costruirei un palco con sopra uno striscione. Ci scriverei col pennarello “Stadio Friuli”. E inviterei, a soffiare su centoventi candeline di una torta neanche troppo virtuale, chi questi due colori ha tatuati sul cuore: Pasquale Fanesi, Alessandro Valerio e Pierino; inviterei Ulivieri e Della Corna, Ivica Surjak e Nazareth Filho; inviterei virtualmente il Galinho e Massimo Storgato, e Fellet Vriz Bilardi. E Bierhoff e Marcio, e Gigi Turci e Abel e Nestor.
Non ce la posso fare. Non fa niente: mi riguardo vecchie immagini, le figurine, l’album dei ricordi. Se il presente è perdere a Cagliari e dire “beh in fondo non abbiamo giocato male”; se la colpa è della squadra e i dirigenti si affrettano a dissociarsi dall’atteggiamento in campo dei propri stipendiati; se tutto ciò è normale, non c’è problema. Come sempre sono io ad esser di troppo.
E lunedì sera voglio proprio vedere se tirerete fuori gli attributi: Stroppa, la sfortunata sera del centenario, ci rimise una gamba per quanto si impegnò. Io non chiedo sacrifici corporali: ma una partita seria, decente, impegnata questo sì. Indosserete una maglia pesantissima, che probabilmente per Voi non è altro che un capo tecnico. Ma per noi parla di Dal Dan, D’Odorico detto “Dodo”, Foni, Bellotto, Dorigo. Onoratela. Oppure cambiate aria.