Mentre scrivo ho appena compiuto 39 anni, gli ultimi dieci (quasi undici) dei quali vissuti da vera single, in un nucleo familiare composto unicamente da me; la mia vita “indipendente” ebbe inizio nel pomeriggio dell’ormai lontano 17 settembre 2011, in quel sabato particolarmente caldo prese avvio un’avventura che fortunatamente continua ancora oggi, seppure in un altro appartamento (esattamente sopra al primo) e con una buona dose di consapevolezza in più.
A 28 anni suonati mi pareva fosse proprio giunta l’ora di uscire dal nido e provare a volare da sola; certo, sapevo che non sarebbe stato facile e che la mia traiettoria probabilmente sarebbe sempre stata un po’ storta e imprecisa, però ero abbastanza sicura di potercela fare e volevo tentare a ogni costo. All’inizio di quest’esperienza (per me non del tutto nuova, visto che da ottobre 2002 a luglio 2005 avevo già vissuto a Forlì in uno “studentato”) mi diedi tre mesi di tempo: “Se entro Natale le cose non vanno come devono e non ingrano, torno dai miei!”. Ebbene, a quel Natale se ne sono aggiunti dieci e dai miei non sono ancora tornata, se non per qualche breve periodo; devo ammettere che in questi anni (e anche in questi ultimi mesi) i momenti di scoramento e i “Chi me lo fa fare?” non sono mancati, eppure è una scelta che rifarei mille volte e che difenderò con tutte le mie forze in ogni modo possibile, lottando strenuamente per non dover tornare indietro!
Sin da quando ho iniziato a pensarla, questa scelta mi è sembrata del tutto naturale, non mi sono chiesta se la mia disabilità avrebbe finito per renderla una scelta sbagliata; beh, io no, ma evidentemente qualcun altro sì… Mi riferisco alle diverse persone che in questi undici anni mi hanno chiesto e continuano a chiedermi come mai io abbia scelto di vivere da sola, non preferendo invece la compagnia (e la cura) dei miei genitori. Chissà, forse il pensiero ricorrente è che compiendo questo passo io mi sia complicata la vita, a me invece piace pensare di aver gettato le basi per il mio futuro, per quel “dopo di noi” che fa tanta paura ai familiari di persone con disabilità, oggi conosciuti (ma non ancora completamente riconosciuti) come caregiver.
Proprio guardando al futuro, ho organizzato e costruito il presente, anche grazie all’imprescindibile e prezioso aiuto di signore più o meno giovani, più o meno disponibili e più o meno avvezze alla disabilità, che a seconda dei periodi si sono alternate in due o in tre alla settimana per garantirmi le ore di assistenza delle quali ho bisogno ogni giorno. Così me la sono cavata in questi anni, riuscendo tra alti e bassi ad arrivare da quel lontano sabato pomeriggio a oggi, acquisendo nuove competenze e abilità che probabilmente avrei tardato a padroneggiare se fossi rimasta a vivere con mamma e papà.
Qui ho descritto a grandi linee la mia vita indipendente, manifestazione concreta di un’ideale che fino a poche settimane fa credevo essere solo mio, ma che poi ho scoperto avere radici molto lontane, in termini sia di tempo che di spazio. Eh sì, perché il concetto di vita indipendente così come la intendo io, ovvero una vita dove ogni individuo è libero di autodeterminarsi e decidere quando, dove, come e da chi ricevere aiuto, inizia a prendere forma nella prima metà degli Anni Sessanta a Berkeley, in California, dove un gruppo di studenti universitari affetti da gravi disabilità e fino ad allora ospitati in un’ala dell’ospedale del campus, decide che la situazione deve cambiare, perché vivere in ospedale non è abbastanza.
A seguito di quel primo input molte persone con disabilità residenti negli Stati Uniti vogliono dire la loro quando si tratta di prendere decisioni su temi che le riguardano, quali ad esempio l’abbattimento di barriere architettoniche e culturali; così nel 1972 nasce a Berkeley il primo nucleo operativo del movimento per la Vita Indipendente, che si espande poi anche a Boston e a Houston e che oggi è presente quasi in ogni angolo del pianeta. Per creare sinergie tra i vari movimenti formatisi in Europa e riuscire quindi a concretizzare gli ideali che stanno alla base di questi sodalizi, nel 1989 a Strasburgo viene fondata la European Network on Independent Living – ENIL, letteralmente Rete Europea sulla Vita Indipendente, in seno alla quale sboccia due anni più tardi ENIL Italia.
Quest’ultimo sodalizio è fortemente voluto da Gianni Pellis (torinese malato di sclerosi multipla e purtroppo deceduto nell’agosto 2011) e da Raffaello Belli, membro dell’Associazione Italiana Assistenza Spastici – AIAS – Sezione di Firenze, che già dagli Anni Ottanta si appassiona al modello di vita indipendente proposto in America (vedi sopra), al punto da farlo diventare oggetto della sua tesi di laurea in , Scienze Politiche (1986) e che più tardi riesce a convincere Teresa Selli Serra (allora Presidente dell’AIAS nazionale) a promuoverlo anche nel nostro Paese; nel corso degli anni un’altra mente che ha dato forte impulso a ENIL Italia è stata quella di Miriam Massari, una donna affetta da artrite reumatoide che nell’ottobre 1994 si distinse per la sua Richiesta ufficiale di assistenza personale indirizzata a Francesco Rutelli, ai tempi Sindaco di Roma (dove Miriam risiedeva), al Presidente della Regione Lazio e ad altre personalità istituzionali operanti sul territorio.
Anche in Friuli Venezia Giulia la voglia di vita indipendente è molto forte, quindi per i disabili gravi come Roby Margutti e altri sette suoi amici è naturale seguire la scia di ENIL Italia e fondare IDEA, un’agenzia per la vita indipendente che nasce a Spilimbergo (PN) nel 1998 come ONLUS, mentre oggi è un’Organizzazione di Volontariato (ODV) con sede a Palmanova (UD). Lo scopo primario dell’associazione è quello di far sì che l’assistenza personale in favore dei disabili e di conseguenza la figura dell’assistente alla persona diventino realtà, in quanto chiave di volta per l’effettiva realizzazione di una vita indipendente, o per meglio dire interdipendente; per raggiungere quest’obbiettivo ci si deve innanzitutto assicurare che i contratti e le modalità che regolano l’assunzione degli assistenti personali permettano ai disabili che ne fruiscono di esserne anche i gestori, senza intermediari.
Il raggiungimento di una vita interdipendente passa però anche attraverso le tecnologie che agevolano molto sia il disabile che i suoi assistenti; ovviamente si tratta di strumenti in continua evoluzione, che pertanto vanno attentamente ricercati e studiati così da poterli poi adattare alle necessità di ogni singolo individuo. Anche le esperienze vissute e le buone pratiche adottate da altri possono rappresentare una fonte d’ispirazione per coloro che si approcciano a una vita interdipendente, ecco perché “IDEA ODV” offre ai propri soci un servizio di consulenza alla pari, per potersi confrontare “con chi c’è già passato” e magari ha già trovato la soluzione a un problema; inoltre l’associazione organizza eventi, conferenze e seminari per sensibilizzare i privati cittadini e le istituzioni sul tema della disabilità e della vita interdipendente.
Com’è facile immaginare, le istituzioni sono interlocutori molto importanti per un disabile, in quanto molto spesso sono proprio loro che, direttamente o indirettamente, erogano i servizi alla persona; per questa ragione è necessario conoscerle a fondo e sapere esattamente qual è il loro modus operandi, così da poter verificare in tempi brevi se le norme a tutela dei disabili vengono effettivamente applicate e in caso contrario battersi concretamente per difendere i propri diritti.
È sicuramente anche grazie alla sinergia tra le istituzioni locali e le associazioni che operano sul territorio in favore delle persone con disabilità, se nel marzo 2006 una legge della Regione Friuli Venezia Giulia – segnatamente la legge regionale 6/2006, articolo 41 – sancisce la nascita del Fondo per l’Autonomia Possibile (FAP), un intervento economico che permette alle persone non autosufficienti di provvedere ai propri bisogni e mantenere una vita di relazione grazie al supporto determinante di terzi, ma senza essere costrette ad abbandonare il proprio domicilio per riceverlo.
Il FAP o qualunque altro tipo di aiuto economico per la vita indipendente permettono senz’altro di progettare il futuro con più serenità, averli o non averli fa differenza, tuttavia credo che il supporto economico sia solo una tessera del complesso mosaico che in realtà è (o dovrebbe essere) la vita indipendente di una persona disabile, ovvero di un soggetto che al pari degli altri ha diritti, doveri, attitudini, inclinazioni, esigenze e bisogni non soltanto fisici; insomma di un soggetto che come tutti i suoi simili merita di essere accettato, compreso, valorizzato e – perché no? – all’occorrenza anche criticato, per la sua essenza e per ciò che di essa trasmette alla collettività, non per le condizioni psicofisiche nelle quali versa suo malgrado.
In conclusione, noi disabili saremo veramente liberi e indipendenti soltanto se e quando nella società civile ci sarà un cambio di mentalità e di prospettiva: niente più vezzeggiativi inutili, aiuti non richiesti, domande a dir poco imbarazzanti; vogliamo solo gli strumenti per autodeterminarci e vivere la nostra vita come ci pare e piace, pur senza dimenticare che la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri.