L’immagine di un oggetto, quando si proietta nell’occhio, può assumere le forme più disparate a seconda del punto di vista adottato perché cambiano la distanza, la prospettiva ecc., eppure in genere non abbiamo difficoltà a riconoscerlo. Questo è ben noto per gli umani e per i primati, ma ora Alireza Alemi-Neissi, Federica Rosselli e Davide Zoccolan della SISSA (la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste) hanno mostrato che anche i ratti possiedono questa raffinata capacità visiva e che il loro cervello usa strategie di elaborazione delle immagini piuttosto sofisticate. Lo studio è stato appena pubblicato su The Journal of Neuroscience.
Vedere è un’attività talmente spontanea che non ci accorgiamo di quanto complessi siano i meccanismi cerebrali implicati. Per esempio, riconosciamo facilmente gli oggetti, che ci paiono sempre uguali a sé stessi senza renderci conto che li osserviamo da punti di vista sempre diversi e che la loro immagine – il profilo di intensità luminosa che si proietta sulla retina – varia tantissimo ogni volta che li guardiamo.
Per mantenere questa “invarianza” nella forma, il nostro cervello mette in atto dei processi che dall’immagine bidimensionale estraggono delle informazioni visive “chiave” che ci permettono di riconoscere l’oggetto in ogni condizione. Gli scienziati ritengono che questa capacità sia propria dell’essere umano e degli altri primati, ma è controverso il fatto se questa capacità esista anche in altre specie di mammifero.
Negli esperimenti della SISSA, i ratti osservavano oggetti in condizioni variabili di dimensione, posizione, distanza e punti di vista, coperti da maschere che ne lasciavano intravedere solo alcune porzioni. I ratti si sono dimostrati molto abili nel giudicare se due oggetti erano identici o no.
Questi esperimenti hanno rivelato che la strategia di riconoscimento usata dal cervello dei ratti si basa sulla raccolta delle caratteristiche visive dell’oggetto che massimizzano l’informazione disponibile. In pratica, il sistema visivo del roditore identifica e cerca attivamente le caratteristiche più tipiche dell’oggetto e soggette al minor cambiamento al variare del punto di vista.
Lo studio conferma dunque che i ratti possono dire molto sul funzionamento della visione, anche quella umana. “Queste osservazioni suggeriscono che il sistema visivo dei ratti può servire da potente modello per studiare le basi neurali del riconoscimento degli oggetti” ha commentato Zoccolan.