Un modo semplice ed efficace per sbrogliare la matassa, spesso annodata, del DNA è “infilare” il filamento dentro a un nanotubo. Uno studio che ha visto partecipare la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste ha misurato – con delle simulazioni – le caratteristiche che questo canale deve avere per ottenere la massima efficienza.
Con il diffondersi delle metodologie di analisi e manipolazione del DNA, è certamente molto utile trovare un modo per dipanare e distendere i filamenti di questa molecola che ha la tendenza ad aggrovigliarsi spontaneamente. Un metodo è quello di usare dei tubi, anzi dei nanotubi, come hanno fatto Cristian Micheletti, riceratore della SISSA, ed Enzo Orlandini, dell’Università di Padova, in uno studio appena pubblicato sulla rivista Macro Letters.
L’idea è quella di infilare il DNA nel canale, in modo da stenderlo per bene. “Ma non va bene qualsiasi canale,”spiega Micheletti. “A seconda del diamentro del nanotubo il filamento può comunque formare ai suoi estremi delle sorte di uncini che finiscono per creare un nodo”.
“Nel nostro studio abbiamo caratterizzato, usando delle tecniche simulative, i meccanismi che provocano l’annodamento in funzione del diametro del canale”, continua lo scienziato.
Risultato? “Sotto i 50 nanometri di diametro la tendenza ad annodarsi si riduce drasticamente”. Grazie a queste osservazioni è quindi possibile disegnare canali con le caratteristiche ottimali per ottenere un filamento di DNA ben disteso e senza i nodi che possono essere un ostacolo in molti metodi di analisi genetica.