I bambini iniziano a imparare il suono delle parole ricordando la prima e l’ultima sillaba. Uno studio della SISSA, pubblicato sulla rivista Child Development, ha messo in luce quali informazioni vengono utilizzate dal cervello dei bambini durante lo sviluppo del linguaggio e il formato in cui le parole vengono immagazzinate in memoria.
Se hai solo sette mesi d’età, fra un “gelataio” e un “getalaio” non passa nessuna differenza.
Di una parola infatti, i bambini molto piccoli, ricordano con precisione la prima e l’ultima sillaba. Quelle in mezzo possono anche essere mescolate, e per i giovanissimi ascoltatori cambia poco e nulla. Questo è quello che emerge da uno studio della SISSA che ha messo a nudo i meccanismi precoci della memoria delle parole, pubblicato di recente sulla rivista Child Development.
I bambini molto piccoli iniziano ad apprendere le parole prestissimo, fin dai primi mesi di vita, e per farlo devono immagazzinare il loro suono e associarlo al significato. Lo studio di Silvia Benavides-Varela (ora all’IRCCS Fondazione Ospedale San Camillo di Venezia, ma al tempo dello studio alla SISSA) e di Jacques Mehler, neuroscienziato della SISSA, ha mostrato qual è il formato con cui vengono ricordate le prime parole. In particolare i due scienziati hanno visto che i bambini intorno ai sette mesi codificano correttamente suono e posizione della prima e dell’ultima sillaba, mentre hanno difficoltà a trattenere l’ordine delle sillabe all’interno della parola.
“Gli ‘estremi’ delle parole sono importanti per riconoscerle”, spiega Benavides-Varela. “Nel suono di una parola possiamo distinguere due tipi di informazione: quella relativa al contenuto, il suono vero e proprio delle singole sillabe, e quella relativa all’ordine con cui le sillabe sono scandite. Il nostro studio dimostra che i due formati, contenuto e ordine, sono distinti fin dalla più precoce età”.
La strategia utilizzata dai bambini non deve essere vista come un limite per l’apprendimento lessicale, ma una caratteristica della memoria umana che interagisce con i meccanismi di apprendimento del linguaggio. La “supremazia” delle sillabe estreme infatti sembra essere pervasiva a ogni età (studi precedenti hanno mostrato che il fenomeno esiste anche negli adulti) e potrebbe spiegare alcune regolarità linguistiche che si osservano nel linguaggio umano. Per esempio quando a una parola finita si aggiunge una particella, nella stragrande maggioranza di casi si tratta di un prefisso o di un suffisso, vale a dire un morfema che si attacca all’inizio o alla fine della parola e non all’interno.
Anche altri fenomeni possono ricondursi all’effetto degli estremi: per esempio le mamme quando insegnano nuove parole ai bambini tendono a metterle alla fine delle frasi, un strategia spontanea – probabilmente inconscia – che potrebbe servire a ottimizzare il trasferimento di informazioni importanti.