Uno studio a cui ha collaborato la Scuola Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste indaga sulle origini della difficoltà nel riconoscere certe emozioni nei pazienti affetti da Parkinson. La causa è nella malattia stessa o anche un tipo di trattamento molto diffuso (l’elettrostimolazione cerebrale profonda) ha un ruolo nel provocare questi deficit?
I pazienti affetti dalla malattia di Parkinson, oltre ai sintomi motori più evidenti (come tremore e rigidità) possono avere delle difficoltà a riconoscere le emozioni nelle espressioni facciali o nella prosodia (intonazione) del discorso negli altri. Alcune ricerche hanno mostrato che anche l’elettrostimolazione cerebrale profonda, un trattamento molto diffuso negli ultimi anni, può provocare disturbi analoghi. La SISSA e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Santa Maria della Misericordia” di Udine hanno collaborato assieme in uno studio che ha analizzato questa possibilità, trovando che l’operazione è collegata solo ad alcuni sintomi transitori, e ha un effetto molto lieve sui deficit di riconoscimento delle emozioni preesistenti.
L’elettrostimolazione profonda è una tecnica relativamente nuova ma già molto diffusa. Consiste nello stimolare elettricamente, tramite l’impianto di micro-elettrodi, i neuroni di aree specifiche del cervello. Nel caso del Parkinson si tratta di alcuni nuclei che fanno parte dei gangli della base, delle strutture cerebrali che nella malattia sono deficitarie e producono meno dopamina di quella che serve all’organismo, con il conseguente manifestarsi dei sintomi motori. L’elettrostimolazione blocca i segnali che provocano i sintomi motori della malattia migliorando la qualità di vita del paziente.
Secondo alcuni studi i disturbi di percezione delle emozioni che si sono evidenziati nei pazienti affetti da Parkinson potrebbero essere conseguenza della terapia, o delle microlesioni che si formano quando l’elettrodo viene impiantato chirurgicamente. “Nel nostro studio abbiamo cercato di andare in fondo alla questione”, spiega Marilena Aiello, della SISSA, prima autrice dello studio. “Abbiamo confrontato le prestazioni di dodici pazienti con quella di persone sane, in quattro condizioni: prima dell’intervento, sia sotto l’effetto dei farmaci che non, e dopo, a distanza di pochi giorni, o di alcuni mesi dall’operazione”.
I soggetti dovevano rispondere a test sul riconoscimento delle emozioni mediate da espressioni facciali (modalità visiva) o dalla prosodia del discorso (modalità uditiva).
“I pazienti non hanno mai dimostrato difficoltà nella condizione uditiva, mentre si sono rivelati deficitari nel riconoscimento visivo anche prima di essere operati”, continua Aiello. “La difficoltà era pero presente per un’emozione in particolare, vale a dire il disgusto.”
Dopo l’operazione invece i pazienti, oltre a continuare ad avere difficoltà a riconoscere visivamente il disgusto, hanno mostrato una performance scarsa con le espressioni facciali che esprimono tristezza. “Questo tipo di deficit è stato solo transitorio, e cioè presente a pochi giorni dall’operazione, ma non a qualche mese di distanza” spiega Aiello. “Crediamo che quindi questo disturbo sia legato alle microlesioni dovute all’impianto dell’elettrodo, in buona parte riassorbite a distanza di pochi mesi, e alla drastica riduzione della terapia farmacologica a ridosso dell’intervento”.
Allo studio ha partecipato anche Luca De Simone della SISSA, che come Aiello fa parte del laboratorio Neuroscienze e Società diretto da Raffaella Rumiati (anche lei coinvolta in questo lavoro). La ricerca supporta dunque l’ipotesi che questo tipo di deficit sia preesistente alla terapia di elettrostimolazione, anche se si possono manifestare dei disturbi transitori legati all’operazione. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Cortex.