Nato per scrutare la radiazione fossile dell’Universo, il satellite Planck, in azione combinata con Herschel, si rivela utile anche per comprendere la macrostruttura dell’Universo. Uno studio sperimentale appena pubblicato, a cui partecipa anche la SISSA, ha identificato delle sorgenti astronomiche che potrebbero costituire i precursori degli ammassi ricchi di galassie, le più grandi strutture dinamicamente stabili presenti nell’Universo. Queste elementi primitivi sono stati cercati a lungo dagli astrofisici perché fondamentali per ricostruire l’evoluzione delle macrostrutture dell’Universo. I metodi classici per la ricerca di strutture di grande scala si applicano purtroppo con difficoltà (o a volte sono del tutto inapplicabili a questi oggetti). Il metodo utilizzato da Planck si basa sulle predizioni elaborate in una ricerca condotta nel 2005 da Mattia Negrello, per la sua tesi di dottorato alla SISSA sulla base di un modello teorico sviluppato alla SISSA e all’Osservatorio Astronomico di Padova.
“Planck individua, poi Herschel analizza”, così Gianfranco De Zotti, professore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e di INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, riassume la logica dietro alla ricerca appena pubblicata su Astronomy & Astrophysics. “Come già nel 2005 Mattia Negrello aveva suggerito, proprio la scarsa risoluzione di Planck, ottimizzata per lo studio del fondo cosmico di microonde ma che costituisce una grossa limitazione per lo studio delle sorgenti extragalattiche, ne fa uno strumento potente per cercare strutture di grandi dimensioni. Oggi finalmente ne abbiamo le prime prove sperimentali”.
Andiamo con ordine. Planck è un satellite che ha scrutato l’intera sfera celeste. È stato progettato per osservare la radiazione cosmica di fondo, cioè il residuo elettromagnetico che permea l’Universo e che deriva direttamente dal Big Bang. Il suo occhio non ha un’ottima risoluzione (non ha una vista abbastanza acuta per vedere singolarmente un certo tipo di oggetti) ma riesce ad avere una visione d’insieme.
I proto-ammassi di galassie sono i precursori delle più grandi strutture dinamicamente stabili del nostro Universo. In questi addensamenti sono contenute molte galassie ad alto redshift (spostamento verso il rosso, un parametro usato dagli astrofisici per calcolare la loro distanza). Poiché sono strutture rare e grandi la “visione d’insieme” di Planck si rivela particolarmente adatta a rivelarle.
Mattia Negrello nel 2005, per la sua tesi di dottorato alla SISSA, ha proposto alcune considerazioni teoriche a supporto dell’uso di Planck per questo tipo di osservazioni. I dubbi si concentravano principalmente sull’ipotesi che, nei proto-ammassi, potessero essere presenti contemporaneamente un numero sufficiente di galassie con intensa formazione stellare da renderli visibili da Planck. Ora un gruppo internazionale di scienziati, sulla base di verifiche osservative ha dimostrato che le ipotesi di Negrello sono fondate. Planck ha fornito la prima mappa di sorgenti ad alto redshift per tutto il cielo, e con l’aiuto del satellite Herschel (che ha lo sguardo “fino” ma ha coperto solo una piccola frazione del cielo) ora si sta procedendo a caratterizzare in maniera avanzata queste fonti. Fra gli autori della ricerca, guidata da Hervé Dole dell’Istituto di Astrofisica Spaziale di Orsay, ci sono lo stesso Negrello (ora a INAF – Osservatorio Astronomico di Padova), e De Zotti, che fa parte del “gruppo Planck” della SISSA.