Il genoma dei virus è solitamente racchiuso in un guscio chiamato capside. I capsidi hanno proprietà meccaniche uniche: devono essere resistenti e al tempo stesso in grado di dissolversi per rilasciare il genoma nella cellula infettata. Gli scienziati della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste hanno coordinato uno studio sulle proprietà meccaniche dei virus che ne ha migliorato la comprensione, tanto da fare previsioni sul comportamento di virus ancora poco conosciuti.
I virus sono come navicelle che contengono una parte attiva, il materiale genetico, in grado di infettare una cellula ospite. La navicella, chiamata capside o vettore, è sostanzialmente un guscio che si deforma quando deve penetrare nella cellula da infettare, e può addirittura andare in pezzi. Il gruppo di ricerca, fra cui Guido Polles e Cristian Micheletti della SISSA, hanno usato simulazioni al computer e modelli teorici proprio per capire come questa “navicella” risponda alle sollecitazioni termiche e meccaniche. Così facendo hanno individuato i punti deboli dei capsidi e ne hanno dedotto il processo di assemblaggio spontaneo.
Ogni guscio è formato da tanti tasselli proteici che si incastrano spontaneamente come pezzetti di Lego. Un capside può essere formato da centinaia di queste sub-unità, ma ogni tassello è formato da un numero limitato di proteine. I bordi dei tasselli rappresentano le linee “deboli” dove avviene la deformazione della struttura generale e lungo le quali il guscio si frammenta in caso di rottura. Per alcuni tipi di virus sono state fatte delle osservazioni sperimentali, proprio per capire la dinamica interna del vettore (deformazione) e la forma dei singoli tasselli (che è di solito piuttosto regolare – pentagoni, esagoni, triangoli). Micheletti e colleghi hanno prodotto un modello al computer che, in linea di principio, può essere applicato a qualunque virus di cui sia nota la struttura.
“Partendo dalle conoscenze sulla struttura molecolare del capside abbiamo provato a ‘stuzzicarlo’ un po’ per vedere come cambiava forma. Abbiamo infatti simulato delle fluttuazioni termiche (banalmente l’abbiamo virtualmente scaldato e raffreddato) osservando lungo quali linee il guscio si modificava. Molto probabilmente queste linee sono anche i punti in cui il capside tende a frantumarsi”. Hanno spiegato Polles e Micheletti. “Il nostro modello si è rivelato molto robusto. Le simulazioni infatti hanno riprodotto le condizioni che sono state osservate sperimentalmente su una serie di capsidi noti. Per questo motivo abbiamo prodotto altre previsioni su capsidi di cui non esiste conoscenza diretta in questo senso”.
La ricerca, che è stata condotta insieme all’Università di York (UK), all’Università di Torino e all’Istituto Max Planck di Mainz (Germania), è stata pubblicata su Plos Computational Biology. Gli studi sulla natura dei capsidi virali sono importanti per conoscere i meccanismi di azione infettiva dei virus (e studiare metodi per contrastarla).
I vettori virali inoltre sono usati in farmacologia e per la terapia genica. I gusci dei virus infatti possono essere utilizzati come vettore per far entrare una terapia direttamente dentro le cellule, una metodologia che oggi rappresenta l’avanguardia in medicina. La possibilità di identificare i punti meccanicamente deboli potrebbe, in prospettiva, essere sfruttata per modificare i capsidi naturali ottimizzandone la loro resistenza per un più efficace trasporto e consegna del contenuto farmacologico.