La psicologia “morale” è stata storicamente studiata sottoponendo le persone ai dilemmi morali -scelte ipotetiche riguardanti scenari spesso pericolosi – ma raramente è stata verificata “sul campo”. Questa limitazione potrebbe aver portato a un errore sistematico nelle ipotesi sulle basi cognitive delle scelte morali. Uno studio basato sulla realtà virtuale dimostra infatti che, in situazioni reali potremmo essere molto più “utilitaristi” di quanto ritenuto finora.
I freni della vostra macchina si rompono improvvisamente e sulla traiettoria ci sono cinque persone che verranno certamente investite. Potete sterzare, ma sulla vostra nuova strada finirebbe un altro pedone. Uno solo. Che fate, agite e uccidete una persona o non fate nulla e lasciate che ne muoiano cinque? Questo è un esempio di “dilemma morale”, il tipo di problema usato dagli psicologi cognitivi per studiare i fondamenti cerebrali dei comportamenti morali. Com’è ovvio questo tipo di esperimenti possono essere condotti solo in maniera ipotetica, e non “sul campo”, ma è possibile che questa limitazione possa aver portato gli scienziati a interpretazioni teoriche errate? Un’alternativa alla realtà “reale” è quella virtuale: un gruppo di ricercatori, fra cui Indrajeet Patil, Carlotta Cogoni e Giorgia Silani della SISSA (la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste), in collaborazione con il dipartimento di Human-computer interaction dell’Università di Udine, ha condotto degli esperimenti proprio con la realtà virtuale, osservando che il comportamento dell’essere umano potrebbe essere molto diverso da quanto emerge dai test tradizionali con i dilemmi morali.
Con la realtà virtuale infatti il comportamento dei soggetti appare molto più utilitaristico di quanto espresso nei giudizi ipotetici: “nei test con la realtà virtuale le persone scelgono molto più spesso di sterzare e uccidere una sola persona”, spiega Patil, primo autore della ricerca. “Nei dilemmi morali classici, cioè quando devono esprimere soltanto un giudizio su cosa farebbero, molto più spesso dichiarano che non metterebbero in atto un’azione volontaria che provochi la morte di qualcuno”.
“I nostri risultati suggeriscono cautela nell’usare i dati di un solo tipo di esperimento. È chiaro che non è possibile, nella maggior parte dei casi testare le situazioni rappresentate nei dilemmi morali dal vero, ma la realtà virtuale, nonostante non sostituisca del tutto la realtà ‘vera’, può essere comunque un valido supporto alla ricerca”.
Più in dettaglio…
Negli esperimenti di Patil e colleghi gli stessi soggetti partecipavano a due sessioni sperimentali. In una rispondevano a dilemmi morali ipotetici presentati in forma di testo scritto. In un’altra invece prendevano una decisione immediata (schiacciare un bottone per far sterzare la macchina o non fare nulla) nelle stesse situazioni rappresentate con la realtà virtuale. Venivano anche raccolti dati sullo stato di attivazione emotiva dei soggetti attraverso la registrazione dell’attività elettrodermica, cioè l’attività elettrica cutanea.
“Le misure sullo stato emotivo effettuate durante gli esperimenti suggeriscono che quando questo è maggiore – nelle condizioni di realtà virtuale, che si avvicinano di più a una situazione reale – i soggetti rispondono in maniera utilitaristica, cioè agiscono per salvare il numero maggiore di persone. Nella condizione ipotetica e meno emotivamente carica il tipo di risposta era ‘deontologico’: l’aspetto morale dell’azione veniva valutato in maniera del tutto indipendente dalle sue conseguenze pratiche. Uccidere volontariamente una persona era considerato inammissibile”, spiega Giorgia Silani. È possibile dunque che quando ci confrontiamo con situazioni morali nella realtà possiamo prendere decisioni completamente diverse sul piano morale da quelle che sono le nostre convinzioni etiche.