Con una tecnica tanto innovativa quanto semplice un team di ricercatori italiani (SISSA di Trieste, Università degli Studi di Trieste e IIT di Genova) sono riusciti a ottenere una cultura in vitro di neuroni primari (e astrociti) genuinamente tridimensionale. Il network di neuroni ha mostrato una funzionalità più complessa di quelle bidimensionali. La struttura creata è anche la prima a incorporare nanotubi di carbonio, che favoriscono la formazione di sinapsi fra i neuroni in cultura. La ricerca è stata pubblicata su Scientific Reports.
La conoscenza del cervello (come anche le tecnologie nel campo della neuro-ingegneria) trae grandi benefici dalla possibilità di far crescere network di neuroni vivi e funzionanti. Attualmente le culture neuronali sono essenzialmente bidimensionali (si sviluppano su un piano, immaginate il classico “disco di Petri”) , ma come appare intuitivo la condizione più “naturale” per un neurone e per una rete di neuroni è quella di crescere e vivere in uno spazio tridimensionale. Finora sono stati fatti dei tentativi di culture 3D che però sono sostanzialmente sovrapposizioni di tanti strati di culture 2D. La struttura creata da un team coordinato da Laura Ballerini della SISSA è la prima genuinamente tridimensionale, con neuroni e astrociti funzionanti (per “diverse settimane”).
“Abbiamo usato uno ‘scheletro’ (in gergo tecnico scaffold) di materiale elastomerico, una sorta di spugna, sul quale abbiamo poi fatto crescere i neuroni”. Ballerini e il suo team alla SISSA (Rossana Rauti e Denis Scaini) hanno lavorato in stretta collaborazione con il gruppo di Maurizio Prato dell’Università degli Studi di Trieste (in particolare Susanna Bosi, che condivide il primo nome come autrice della ricerca). Ballerini e Prato lavorano insieme da diversi anni proprio nello studio delle interfacce fra neuroni e nano-materiali.
Le registrazioni dell’attività dei neuroni – misurata in maniera indiretta attraverso imaging delle variazioni di calcio nel citoplasma di queste cellule, e non registrando direttamente l’attività elettrica con degli elettrodi, cosa complessa per questo tipo di struttura – hanno mostrato che i neuroni sviluppati sulla spugna 3D sono vivi e funzionanti. Ma non solo, la tecnica utilizzata ha permesso un confronto diretto fra la funzionalità della cultura tridimensionale e di un’analoga bidimensionale, mostrando che la prima è molto più complessa. “La nostra tecnica è diversa da altri tentativi fatti finora, che si limitavano essenzialmente a impilare una sopra l’altra tante culture planari,” spiega Rauti. “Questo approccio ‘a strati’ ha lo svantaggio di moltiplicare il numero di neuroni nella cultura, rendendo ambiguo un confronto diretto fra culture 3D e quelle tradizionali, che normalmente hanno un numero più esiguo di cellule”. “Con la nuova tecnica invece questo confronto si può fare” spiega Scaini, “così abbiamo potuto osservare che la tridimensionalità migliora l’organizzazione funzionale (sinaptica) di piccoli raggruppamenti di neuroni”
Più in dettaglio…
“La prova che la maggiore complessità funzionale è proprio conseguenza della struttura tridimensionale è arrivata da una serie di simulazioni al computer e studi teorici effettuati all’IIT di Genova, che hanno riprodotto fedelmente i nostri dati sperimentali” spiega Ballerini.
Un altro elemento che rende unica la metodologia usata in questa ricerca è l’uso dei nanotubi di carbonio, materiale sul quale Ballerini e Prato lavorano da anni. “Abbiamo ricoperto le cavità dello scheletro di elastomero di nanotubi di carbonio che favoriscono la formazione di sinapsi fra neuroni in cultura, aumentando così ulteriormente la funzionalità delle cellule” commenta infine Ballerini. “Il vantaggio della nostra metodologia è l’estrema semplicità. Pensiamo che in futuro la nostra tecnica potrà venire adottata nei laboratori che effettuano questo tipo di culture, diventando magari uno standard”.