Una vittoria, una bella vittoria. In trasferta, di fronte a centinaia di tifosi friulani fiduciosi al seguito. Sostenitori bugiardi: minacciano di abbandonarli, poi sono sempre i primi a supportarli.
No: non sono d’accordo con le superficiali analisi che parlano di “carattere di squadra”. Pur senza incantare, oggi l’Udinese ha giocato al pallone. Almeno provandoci: cercando la terza rete e subendo il pari, simile in tutto e per tutto a quello di Abél Hernàndez un paio d’anni fa, a Palermo; riportandosi in vantaggio quando dalla panca si alza un signore di trentott’anni che decide di mandare a rete il compagno; tenendo botta senza soffrire oltremodo i clivensi.
I quali mi hanno deluso: ottenuto un vantaggio nemmeno demeritato dopo cinque minuti di calcio fiammeggiante, hanno pensato di esser una grande squadra e di poter gestire la situazione, confidando nel nome e nella storia recente dell’avversario. O più semplicemente, una squadra vecchia come il ChievoVerona sta iniziando a patire il livello di quelle che nel basket sono definite rotazioni: eccellente impatto di Inglese (uno che dovrebbe partire sempre titolare); cagnottesco il vecchio bucaniere Pellissier. Pepe? vedendolo in campo mi sono quasi commosso, ripensando ai bianconeri di circa otto anni fa.
Per un motivo o per l’altro, dalla rete di Paloschi al fischio finale pochissimo Chievo; quasi tutto raccolto nella rete di Johnny English, una di quelle che ai miei tempi si definivano eurogol; nel pareggio di Gobbi giustamente invalidato dal pessimo Gervasoni, uno per il quale troverei eccessivamente generoso farlo arbitrare una gara di amatori (enciclopedica l’ammonizione di Cesar. Reo, lo sloveno, di aver bloccato l’avversario Danìlo per sparagnargli danni peggiori dopo un giallo, intimandogli “zitto, ti caccia, ti caccia”: ovvero la laicità arbitrale nella prima domenica d’Avvento, e primo giorno del Giubileo della Misericordia); in un paio di mischie tutto sommato controllate senza patèmi d’animo.
Non mi monto la testa, ma a quota diciotto punti la squadra può guardarsi attorno con un pochino di tranquillità in più. Soprattutto, ed in tutta onestà, sta iniziando a ruminare qualche minuto di calcio: oggi si è vista chiara la tendenza a cercare il fraseggio, il palleggio, l’arpeggio quando fino a tre settimane fa ar peggio era come la squadra si mostrava, senza colpo ferir le squadre avversarie (vedasi la gara di Roma). Oggi la difesa (di Karnezis non parlo più: è uno dei portieri che in tutta la serie serie A fornisce più serenità) ha disputato la seconda, ottima partita di fila, pur priva di Wague ma con un Pirìs ritornato il Facundo-cièn años de soledàd della stagione passata. In mezzo mi è piaciuto Cicciuzzo Lodi a dettare i tempi, a fianco di speedy Badu con un aggressivissimo Edenìlson ed un Widmer in crescita sulle ali. Meno convincente Iturra, rientrato nei cànoni di una qualità discutibile ancorché mirata alla pura fisicità (la seconda rete di Cyrillo nasce da un suo tiro d’inenarrabile imprecisione). Davanti Monsieur Théréau ha severamente punito i suoi ex-tifosi, ma in particolare ha ben giostrato il furore di Dio, Aguirre sempre più Herzoghian-Kinskiano e meno oggetto misterioso: non solo sportellate ma volate sulla fascia e qualità nei passaggi.
Ultimo, ma non per ultimo, il signore col dieci. Entra dalla panca, riceve palla da Théréau, e con la testolina bella alta gli rende la boccia mettendolo di fronte a Bizzarri, per lo scavino da tre punti più delicato che mai.
L’allenatore domestico Maran, trentino DOC e di certo tutt’altro che scemo, annusa l’aria avvolto nel proprio paletot e sente fredda aria da neve profilarsi all’orizzonte; comprende come il proprio manìpolo di ultratrentenni stia iniziando pericolosamente a segnare il passo, e si presenta in sala stampa a loro difesa e tutela: secondo l’ineffabile, infatti, avrebbero giocato bene, meritando plurimo vantaggio nel primo tempo, poi hanno perso equilibrio per colpa dell’arbitro (pessimo ma non certo pro-Udinese) ed infatti il pareggio bianconero sarebbe stato viziato da fallo su Meggiorini.
Rolando è persona intelligente, capace, preparata, schietta e onesta: parla alla montanara, con la suocera per far intendere alla nuora. Parla con i giornalisti ma s’indirizza ai suoi giocatori, alla propria società. Perché è pur vero che nel campionato di serie A esistono tre squadre obiettivamente più deboli delle altre, ma è indispensabile per formazioni di cabotaggio inferiore tenersi al largo dalle pastoie del quartultimo-quintultimo posto. Palermo, Samp-e-Doria (rigenerata dalla cura Montella) negli anni passati hanno insegnato che non sempre retrocede chi obiettivamente si mostra meno forte delle avversarie.
Colantuono ha vinto la sua seconda sfida contro i colleghi in otto giorni: messo nel sacco l‘Aeroplanino domenica passata, ha ben preparato anche questa gara vincendola con pieno merito ed avvicinandosi a quella boa-da-22-punti che significherebbe una certa tranquillità. In fondo la metà classifica dista tre punti, ed a cinque si trova il quinto posto. No: non voglio dire che l’Udinese di ‘sti tempi debba mirare in alto; altresì sono d’accordo che a gennaio non si rifondano le squadre. Ma qualche piccolo ritocco (Diamantino?) potrebbe portare con buona soddisfazione di tutti la scialuppa biancanera fra l’ottavo ed il decimo posto, ove onestamente si potrebbero fare ragionamenti meno melodrammatici per il futuro.
Della querelle-Totò non parlo: a me il gossip non interessa. Se Di Natale riterrà di non avere più stimoli, energie, motivazioni, voglia di indossare i colori bianchineri lo dirà ufficialmente, gli stringeremo la mano e lo saluteremo con un abbraccio. Poco mi interessano i sondaggi che chiedono opinioni sulla permanenza, il ritiro o la firma per l’Empoli, dove andrebbe forse a far la riserva a Maccarone. Solo lui, e forse la sua famiglia, ne sanno qualcosa. Se entra dieci minuti e decide, come oggi (l’avevo detto, vero Lorenzo Petiziol?), a me non serve si impegni per fare venti reti. Un eccellente trequartista vale di più di una punta imbolsita.
Marc’Antonio Bentegodi, fine novembre duemilaquindici. Rispolvero la maglia dal cassetto, quella riposta l’anno passato quando il profeta di San Giovanni ci faceva prender a mazzate da corazzate tipo Parma e Cesena, e la porgo ai giocatori di oggi, i quali se la sono meritata. Amici miei biacca e carbone, i quattordici pedatòri schierati possono a buon diritto indossare i sacri colori bianchineri, primi in Italia. Ed a Voi, se avete avuto la pazienza di leggere fino a questo punto, il ringraziamento sentito d’un podosfanarchico il quale oggi, in senso assoluto, tiene fede a tale improvvida definizione.