Eh già: “e metti Ewandro, e metti Balic, e metti mio nipote che ha sei anni ma quando batte le punizioni si mette a gambe larghe come Ronaldo”. Ma lasciamolo in pace!
Da quando (due mesi) l’Udinese guarda le squadre avanti con noncuranza e quelle dietro con superiorità, delle gare da disputare si parla sempre meno; tutto è incentrato sul “metti dentro i giovani”, come se la giovane età facesse grado. E questo lo abbiamo già scritto.
Anche noi, all’inizio, abbiamo partecipato alla gara a stuprare la pazienza delneriana, invocando lo schieramento d’infanti e la giubilazione dei titolari, un bianchenerissimo “nuovo che avanza”: neanche alle spalle ci fosse la “cantera” del Barça.
E nessuno che guardi la carta d’identità dei giocatori schierati in campo: Samir e DePaul sono nati nel 1994, Jankto e Scuffet nel 1996, Fofana nel 1995… E Zapàta e Widmer, che ci sembrano veterani, sono rispettivamente del 1991 e del 1993.
Non so quante altre formazioni di massima serie abbiano avuto il coraggio di gettare nella mischia giocatori così giovani, eccezion fatta per l’Atalanta dei miracoli. E se Ewandro qualche spazio qui e lì se l’è ritagliato, il talentino croato nemmeno un minuto. Un caso?
Per me no. Io non dubito che un investimento da tre milioni debba avere, in seno all’Udinese, ferree ragioni e motivazioni enormi: il talento, quindi, ci deve essere. Detto ciò, vedendolo giocare in amichevole pare ancora un po’ pesce fuor d’acqua e molto carente di velocità di pensiero ed esecuzione. Ribadisco quindi che se diventerà un supercentrocampista lo dovrà a Gigi l’Aquileiense, che ne sta preservando la crescita.
E probabilmente non è poi quel finisseur, quello stoccatore dell’ultimo passaggio che la fantasia di tutti noi immaginerebbe: è probabilmente più adatto ad arretrare di qualche decina di metri, fino a raggiungere la prima fase nevralgica del campo, quella per intendersi dove un Kums atteso e mai veramente apparso avrebbe dovuto prender palla a Danìlo ed impostare l’alba delle azioni.
Di Balic mi dicono siti genericamente informati che qualcuno lo avrebbe accostato al talento di Blaz Sliskovic.
E qui il vecchio in me ruggisce un sonoro “non bestemmiate”. Perché? Presto detto.
Biagio “Baka” Sliskovic, bosniaco di Mostar come Praja, classe 1959 è uno dei ribelli della “plava generacija” che tutti noi ragazzini imparammo ad amare grazie a Sandro Vidrih e Bruno Petralj, Telecapodistria. Al sabato pomeriggio una o due gare della Prva Liga ci insegnavano un calcio diverso dal secondo tempo di Milan-Juve, che alla domenica sera finiva sempre 0-0 con Martellini, Martino o Pizzul che immancabilmente a dieci dal termine chiudevano spicci con un “e da qui al fischio finale non succederà più nulla”. Beh, neanche prima però.
No: le gare jugoslave erano a tattica zero e talento mille; sapevano di rakija, di sigarette macedoni amare e forti, dell’immancabile “u pizdu materinu” o “pizda materna” (a seconda della latitudine) urlato dagli spalti contro l’arbitro. Era il nogomet, non il calcio: quello di Bazdarevic e Surjak, di Mulan Hasanovic e Cukrov, di Susic e Pixi Stojkovic, e Katalinic e del portiere-goleador Pantelic.
E ovviamente di Baka: arrivò in Italia al Pescara “4-3-3” di Genio Galeone nel 1987, e ci innamorammo di quei baffoni che nascondevano un grandissimo talento ed un’altrettanto immensa indisciplina. Le donne, gli amori, non l’arme o i cavalier ma i liquori e la sigaretta spenta all’uscita dallo spogliatoio ne hanno fatto, ai nostri occhi, una figura leggendaria. Il suo adriatico mister dell’epoca ammetterà, a mezza bocca e solo recentemente di non esser mai riuscito a fargli smettere l’abitudine di farsi mandare dalla madrepatria generi di conforto, alimentari ma soprattutto liquidi ad alta gradazione alcolica; d’altra parte, continuava il Genio della panca, aveva ragione Blaz quando diceva “non deve corre io, deve corre palla”.
E la palla correva: otto reti, tocchi di classe, osservatori di Inter e Juventus di casa all’Adriatico. E pazienza se alla fine il Pescara retrocesse.
Se ne tornò a Marsiglia col rimpianto di tutti noi ed un ginocchio frantumato a primavera; tornò cinque anni più tardi ma rakija e slivovitz avevano fatto il loro, così come l’ingiuria degli anni.
Ecco: con tutto il rispetto Andrija Balic non è Sliskovic. Io invito tutti a considerarlo quel che è, e a Delneri di rischiarlo, tanto le gare da qui alla fine sono del tutto innocue.
Sarà un gironcino Torino-Chievo-Udinese, sfida al decimo posto al momento patrimonio granata. La Samp è in formissima e probabilmente irraggiungibile, ma paradossalmente sarebbe quella contro i sampierdarenesi la gara in cui testare Balic davanti alla difesa. Vedremo.
Visto? Abbiamo parlato di allenatore (ma lo riconfermiamo il Gigi o vogliamo ripartire ancora da zero con qualche altro carnèade di dubbia fama?), di giovani, del passato ma neanche una riga sulla gara di domani.
Arriva il Genoa: l’Udinese la deve vincere, per continuare il processo di avvicinamento alla prossima stagione nella migliore delle maniere. Preziosi ha venduto a Juric gli unici giocatori (Pavoletti, Ocampos e Rincòn) che potessero fare la differenza; ne avrà cambiati almeno altri dieci; ha rescisso con Edenilson che se n’è tornato in Sudamerica, addio Europa ingrata; e dopo tutto ciò se la prende con l’ex-Crotone e lo caccia in favore di Mandorlini. Serve dire altro? Beh almeno da un po’ niente valigette piene di denaro. Okay, cattiva: ritiro.
L’Udinese ha più classe, più squadra, più energie ed entusiasmo del vecchio Grifone; ha giocatori determinanti e sembra aver ritrovato, dopo l’infame pomeriggio “galinheiro” col Sassuolo, una parvenza di gruppo: vittoria deve essere, per scavalcare il Chievo (che si sta scansando allo Stadium facendo da sparring partner alla prossima avversaria dei blaugrana) e avvicinare la Side A.
Calcio d’inizio, incredibile ma vero, alle 15:00; sarò allo stadio, A4 permettendo, nel mio percorso che dal Vinitaly mi porterà al PalaLongobardi di Cividale; dai ragazzi, chiudiamo il passato ed apriamo il futuro. Con Gigi Delneri, e con Balic: se questi se lo meriterà.