Sono al palazzetto, finalmente.
Per ragioni diverse, personali professionali, mancavo da tanto, troppo tempo. Ho seguito la cavalcata-promozione da lontano, troppo lontano. Ed eccoci qui: non a caso, sotto la curva dove cantano i tamburi del Settore D, nuovi fiammanti, rullanti dall’inizio alla fine di una gara che definire dominata è persino limitativo.
Recanati non è una squadra scarsa: ha un fattore dominante sotto le plance come Reynolds, un roster esperto con giovani promettenti, sta inserendo un tiratore da “playground” come Ricky Bader (che sotto sotto assomiglia a Tyler Laser). Eppure, al netto della primissima azione del coloured leopardiano col numero uno, è stata un’escalation senza ostacoli per i boys di coach Lino Lardo.
Intensità; difesa dura; attacco sicuro con medie generali poco sotto il 50%. Tutto ciò ha annichilito i leopardiani, ad iniziare dal 18-0 che nel primo quarto l’ha messa in discesa. Merito soprattutto di alcune individualità che emergono su un collettivo collaudato ed affidabile, ancora migliorabile in alcuni dei suoi elementi.
Andrea Traini, il SonnyBoy di scuola pesarese, ha condotto la squadra all’assalto nel primo, decisivo quarto terminato 27-11; due sue triple hanno spaccato in due la scatola avversaria, apparsa sin da subito non all’altezza, oggi, di assorbire le veloci folate bianchenere.
Stan Okoye, MVP senza dubbio alcuno, ha elargito classe, fisicità ed intensità in 23’ di gioco effettivo. Ventitré anche i pezzi messi a referto, con un paio di triple da urlo, ma soprattutto due rimbalzi convertiti in schiacciata senza nemmeno passare dal via.
Infine, signore e signori, Man Ray. L’uomo del Bronx è decisamente ancora in credito di sonno, affiatamento e conoscenza. Ma chi ha giocato con Rajon Rondo non ha bisogno di riposo e allenamento: guarda in faccia l’avversario mentre palleggia, passo avanti-passo indietro in esitazione, avversario che cade sulla finta e tripla vellutata. Standing ovation, dopo il Charlie di Forth Worth finalmente un altro pezzetto di NBA all’ombra del ciscjel.
Udine ha vinto in tutti i fondamentali: precisione e scelta dei tiri, rimbalzi, palle recuperate. Solo Reynolds ha cercato di porre un ostacolo alle folate bianchenere, ma ha giocato praticamente da solo contro tutti. Il suo “socio”, il veterano Pierini, ha mostrato tutta la sua frustrazione “amputando” una mano al povero Castelli quando al termine mancavano spiccioli di minuto.
Recanati ha provato, all’alba della ripresa, a rifarsi sotto; lo sforzo ha però prodotto il recupero di uno solo dei 22 punti che all’intervallo dividevano le due formazioni. Troppa Udine per i gialloblu marchigiani, la cui divisa leopardata con numeri e nomi verde fluo meritano una menzione fra le meno riuscite della storia cestistica recente.
Tutto bene? sì: il pubblico, sospinto dalla curva, ha partecipato entusiasta allo showtime bianconero; la squadra è riuscita in quello che l’anno passato faceva con difficoltà, gestire cronometro e gioco senza frenesie. Unico tasto dolente, accanto alla giornata non memorabile di microwave Pinton al tiro, è la prestazione di Supergino e Joelito sotto le plance. Cuccarolo, in particolare, non può finire una gara come quella di oggi con quattro punti ed altrettanti rimbalzi. Torreggia dai suoi 221 cm, deve diventare una presenza sotto canestro senza avere paura degli avversari; oggi, poi, in tre occasioni invece che concludere ha riaperto la palla. Da sotto il cotone, Gino deve schiacciare.
Una signora gara, insomma; pròdromo alle due trasferte consecutive, la prima nel derby dell’amicizia con Forlì; la seconda a Roseto contro gli Sharks. Stasera il duo americano ha messo a referto 37 pezzi, ed Allan ha giocato 16’ alcuni fra i quali ad intensità zero. Se il gruppo deciso continua il percorso di amalgama con i nuovi, e Man Ray raggiungerà FlyGuy Okoye quanto ad intensità, presenza e leadership… Beh, per coach Lardo saranno pomeriggi di soddisfazione.
Ma nel frattempo grazie ai bianchineri. Grazie a quella che, per oggi, è parsa la Golden State friulana.