Saluti da Boston, amici miei biacca e carbone. Doversi cercare un acrobatico streaming e poi lasciarsi trasportare da una serie di inenarrabili impropéri, sfiora tranquillamente il masochismo.
Ho letto le recensioni dei colleghi sull’ennesima non-gara di oggi: sarò molto meno comprensivo. Indossate gli elmetti, qui ce n’è per tutti. Senza analisi tecnico-tattico-psicologiche.
Per la società – hanno costruito una formazione scandalosa, raffazzonata, senza capo né coda ad iniziare da un allenatore quantomeno discutibile. Capisco che testa e cuore sono a Londra, capisco anche che i bilanci sono a posto ma qui, signori miei, si dovrebbe parlar di calcio. Argomento sinora alieno alla Sandero Arìna dove passeggiano più o meno tutti gli avversari.
Per l’allenatore – è vero: gli han messo a disposizione una rosa scadente. Ma lui, è ormai evidente, non par da meno. L’altra sera alla televisione della società un’avvenente collega, chiamata a commentare la gara dell’A.P.U. (altrettanto scadente, e ne parleremo in altro pezzo) sosteneva che Colantuono parlerebbe chiaro e magari indirizzando le proprie intemerata a qualcuno all’interno dello spogliatoio, evidentemente reo (costui) di non comprendere i prelibati schemi dell’Anziate, saggiamente coperti dall’ombreggiante steso attorno ai campi del Bruseschi. Mi permetta, pur essendo io dilettante allo sbaraglio, di non esser d’accordo. Il buon tecnico ex-Atalanta esprime generalmente due o tre concetti del tutto banali: nell’ordine “dobbiamo ripartire dal lavoro”, “dobbiamo ritrovarci ma contro le grandi squadre un errore è fatale”, “abbiamo avuto la possibilità di riaprirla, forse c’era un rigore/fuorigioco/sciame di cavallette ma è andata così”. Cosi un par di ciufoli: Colantuono è lautamente pagato per trovare rimedi ad un disastro di cui lui, in qualità di commander in chief, è il primo responsabile. Mai una volta, nemmeno dopo il disastro-Juventus, che si sia presentato in sala stampa a dire “abbiamo fatto pena, ho fatto pena, è causa mia e vi chiedo scusa”. Le scuse sono sempre servite sul piatto d’argento a chi, come me, non ne ha mai accettata una ad iniziare da sé stesso.
Per i supposti giocatori – capisco la mediocrità, ma ora si sta sfiorando il ridicolo. Nessuno, in una massima serie, riesce a prendere sei pappine da squadre scarsa come Carpi o Palermo; nessuno riesce a far sembrare canterani barcelonisti gente come Pasciuti, Lollo, Hilijemark o Lazaar. Il vecchio Gila oggi ha messo nel sacco la difesa (?) friulana, Vazquez ha fatto ciò che ha voluto, ma pur con tutto questo la gara andava dominata e basta. Invece la banda del quattro ci ha preso gusto.
Per il direttore sportivo Giaretta – essere carini, giovani ed educati non è un merito ma una casualità se si svolge un mestiere in cui le doti richieste sono altre. Penso a Giuntoli e piango. Tantissimo. AdL ha avuto il merito di puntare su due cavalli quasi sconosciuti in panca ed al quadro comandi, e guardate dove stanno. La rosa forte? L’aveva anche il prevosto ispanico, l’anno passato, ma Bigon-Benìtez non valgono il duo che quest’anno guida i partenopei. Per chi non ha lo stesso fegato, c’è sempre la possibilità di far da testimonial alla prossima campagna pubblicitaria di, chessò, Jean Michel Bassonet. Inventato, così non facciamo pubblicità.
E li mandano in ritiro. Nel miglior hotel di Udine. Ah beh, adesso sì che li responsabilizzano.
Chiedevo qualità. Ora domando solo dignità. Ma credo la risposta sia la medesima, un lungo ed inutile silenzio.
Perché questi venticinque sedicenti pedatòri, più il gruppo tecnico e quello dirigenziale, non conoscono la parola “dignità”. Non gliene frega nulla di me, di Voi, di Udine e della recente nobiltà.
Sapete che Vi dico? Ma che se ne vadano.
Se ne vada la proprietà: sembra quasi non attenda altro che un “het” per dire “ingrati, vi abbiamo dato tutto e ci trattate così”. Possono anche smontarsi l’ammasso (bellissimo) di acciaio e cemento che chiamano Dacia Arena per ricostruirselo a Londra o sulla luna. Non provo orgoglio per una struttura edilizia, provo vergogna per la mancanza di dedizione che i giocatori mettono in scena ogni maledetta domenica.
E se ne vadano anche i calcianti: una testata online afferma che “distratti da voci di mercato…” giocherebbero meno concentrati. Si accomodino. Per scendere alla Favorita e prendere quattro pappine, beh in quell’undici potevamo giocarci anche noi, senza fastidi. O meglio ancora qualche virgulto della primavera, che invece il cuore ce lo mette sempre.
L’allenatore? Sono certo che, come per Stramaccioni, fra qualche anno ce lo saremo scordato. A proposito: le groupies del profeta di San Giovanni approfittano delle padelle ripetute dell’Anziate per rivalutare l’operato del virgulto romano. Vaccate: facevamo schifo l’anno passato, ci siamo ripetuti quest’anno. Un biennio guidato da tecnici scarsi.
All’Udinese mancano cinque vittorie per la salvezza, poi li caccino tutti. Certo: se cinque anni fa mi avessero preannunciato che Zdravko Kuzmanovic un giorno sarebbe potuto essere additato come possibile salvatore della patria, avrei richiesto un trattamento d’urgenza per l’improvvido sostenitore. E a ben vedere, lo penso anche oggi. L’Udinese è una società-squadra-formazione piena di polvere: messa in cassaforte la salvezza, ci vuole uno scossone di quelli forti per ripartire da un canovaccio nuovo. Nella certezza che contro la Lazietta, domenica, in panca ci sarà sempre lo stesso allenatore. Ovviamente.
Due finali e personalissimi saluti: uno al magico brother Lorenzo Petiziol, del quale ho apprezzato il sofferto commento messo in rete stasera. L’altro al Superesperto Piero Montina, un tifoso a 24 carati cui hanno mandato di traverso la torta di compleanno. Due cose in più, Udinesecalcioessepià, per sentirsi in colpa: sentimento, ne sono cosciente, che non appartiene a tutti.