Comincio sfoggiando padronanza e perizia, cose di cui sono molto modestamente dotato per le quali farò solo finta.
Iniziamo.
La Juventus ha spadroneggiato sul campo verde della Dacia Arena, sistemando le cose dopo soli venti minuti e poco più di gioco. Poco hanno potuto gli orgogliosi padroni di casa di fronte allo strapotere tecnico e tattico dei bianconeri di Allegri, e nonostante i loro sforzi continui già al termine del primo tempo la differenza nel punteggio era fissata a quattro reti. Ripresa di pura accademia nella quale gli ospiti sfiorano la quinta realizzazione ma senza alcuna fatica controllano le sfuriate udinesi.
Okay, non ne sono capace, pazienza.
La verità è che pur essendovi preparato, non ho parole per commentare una prestazione che non c’è stata, un impegno che non c’è stato, una partita mai iniziata. Mi aspettavo una gara sbilanciata, mi ero detto che con tutta probabilità se non si fossero passati i primi venti minuti indenni sarebbe andata a finire malissimo. Ma come contro l’Inter l’Udinese spiana la strada agli avversari, con errori degni di categorie inferiori e probabilmente della propria capacità tecnica e tattica, che da qualche anno a questa parte si sta dimostrando sempre più povera.
Oggi in particolare abbiamo visto l’errore di un portiere, sin qui impeccabile, su una punizione al rallentatore di Dybala (causata dalla sciagurata copertura di Badu su Asamoah); due rosanero scambiarsi palla in area piccola senza che alcun udinese se ne preoccupasse, e Khedira a ringraziare; Danìlo marcare Mandzukic nemmeno come noi sul campetto dietro il Marinelli, meritandosi rosso e concedendo inutile rigore agli avversari. Ma tutto era già deciso da diversi minuti. Contro una Juventus appena appena normale, che giocò secondo me meglio l’andata del ritorno contro i “prodi” friulani
Non intendo parlare dell’orgoglio friulano tradito, delle magliette non sudate, anche se questi giocatori hanno mostrato un attaccamento ai colori pari alla temperatura odierna a Boston. Non mi gabbate. Colantuono dice che contro le grandi squadre si fa un errore e non si recupera: cita Inter, Milan, Juventus. Dimentica forse per cattiva memoria il Carpi, sabato scorso.
Dopo la buona vittoria contro l’Atalanta mi chiesi, e domandai, se l’Udinese avrebbe avuto passo e energie per svoltare la stagione, dato che il quinto-sesto posto distava solo due vittorie, ed era occupato da formazioni (come il Milan) evidentemente imbolsite.
Questa squadra ci ha messo otto giorni a darmi la risposta, quella che tanti amici e sostenitori, giornalisti ed affini miei sodali, mi avevano anticipato con rassegnazione: l’Udinese non ha basi tecniche solide; ha pochissimo animus pugnandi, mostra sempre più spesso di non possedere un’anima biancanera che possa allineare questa formazione con quelle che nel passato hanno fatto gioìre i sostenitori udinesi. Non faccio una colpa a nessuno: non al bravissimo allenatore che mi immagino preparerà la gara alla grande ma alla domenica deve assistere a questo scempio, urlando ripetuti “ahò” ai suoi; non ai giocatori, evidentemente scadenti e niente più. Non alla società, che ha creato un mirabile evento mediatico con visibilità nell’intero mondo calcistico nazionale, ospitando da gente unica i friulo-veneti rosastellati nell’avveniristica Dacia Arena.
La colpa la attribuisco a me stesso.
Ho nutrito, nutro troppe attese verso questa formazione di pallone; che da tre anni non è più al centro della progettualità della famiglia proprietaria. Essa ormai nutre aspettative eccellenti verso il Watford, e probabilmente farei lo stesso fossi al suo posto; ha avuto diverse lungimiranze, nel corso degli anni, fra cui la diversificazione internazionale dell’investimento finanziario nell’ambito dello stesso sport; questa non può e non deve essere considerata una colpa.
Stride però un Paròn che se ne esce, in fase di presentazione di questo bellissimo impianto sportivo, dicendo che vuole allestire una squadra competitiva, in grado di competere con le prime della classe. Approfitto per ricordargli due cose, piccolissime, che appartengono al recente passato.
La prima – già per tre volte disse la medesima cosa: voglio essere competitivo, stavolta faremo di tutto per andar avanti, “quest’anno mi voglio divertire”. Accadde prima di andare a Londra/Arsenal, a Braga, a Liberec. Con gente come Neuton, Joel Ekstrand, insomma a parole entusiasmo, in campo depressione.
La seconda – si confonde, il buon GPP: un conto è lo splendido involucro che ha donato (?) a questa causa, un altro è la causa stessa. La bellezza, la grandezza di un progetto non si deve mescolare al luogo ove questo si svolga: per la causa servono giocatori di decente impostazione tecnica. Rispondo metaforicamente ad un messaggino di certo tifoso, apparso come superimposer in apposita televisione locale; egli rimproverava quelli come me di scarsa gratitudine verso l’attuale proprietà, meritevole di averci tolto dal guano di “decrépiti campi” come il vecchio Moretti. A costui dico che al Liberazione, al Palli, al Tenni, al Moccagatta, tutti stadi decrépiti, l’Udinese ha dipinto pagine indelebili; che il vecchio Moretti, che le curve d’erba del primo Friuli erano scomode ma ci siamo sempre detti che il calcio non è un’opera lirica, è sangue e m…. (nel senso che accende gli animi), e persino il San Siro anni ottanta faceva sì schifo, ma provocava un timore laico-reverenziale che religiosamente si prova entrando, che so, a San Pietro in Roma.
Per cui grazie per lo stadio, ma un po’ meno per aver venduto in tre, quattro anni gente come Pereyra, Allan, Asamoah, Isla Isla, Handanovic ed averli sostituiti con Insua, Iturra, Marquinho, l’incostante Badu. Nessuno, non io!, pretende che acquistino Gabbiadini, ma almeno la si finisca di parlare di passione come nostra forza, di ambizione d’alta classifica, di acquisti importanti. Il povero Giaretta è passato da “monitoriamo il mercato ma siamo a posto così” a “arriverà un centrocampista” nel giro delle 48 ore necessarie a farsi passeggiare sulla schiena dalla Juventus. La gara meno indicata per cambiare idea, dato che negli ultimi cinque campionati la vecchia signora ne avrà perse meno di dieci, e pareggiate una ventina. Arriverà probabilmente Valon Behrami, trentenne elvetico finito ai margini al Watford. Capirete che non organizzeremo caroselli in centro per festeggiare l’arrivo.
Ma come detto sono io a non capire. A non apprezzare. Esagero ad esigere attaccamento e qualità, pallone giocato e non sottomissione senza condizioni al potente di turno. È solo che in gare come queste faccio fatica a mandar giù la sottanità di certi friulani, evidentemente anche di quelli in plancia di comando all’Udinesecalcioessepià. Anche perché i friuloveneto-biancorossonerazzurri assediano il piccolo paese ove vivo, che per inciso si chiama Rizzi, violando ogni più minima regola di educazione in nome di un parcheggio comodo. A domanda “ma ha visto che ha messo l’auto su un passo carraio… il mio?” risposta è quasi sempre ”eh bon dove devo meter la machina? Galo d’andar fora adeso? Nol po spetàr dò orete?”. No, non posso aspettare… E all’apposito urbano cui chiedo spiegazioni, risposta “tu podevis cjoli cjase di un’atre bande”. Io qui ci sono nato. E tengo alla mia squadra, la squadra della mia città.
La quale, per inciso, non è la congerie mediocre d’errori e subalternità vista in campo nelle ultime cento esibizioni, tranne qualche eccezione.
Per oggi chiudo qui. Non mi sento di dire altro. Settimana prossima devo organizzare la prima missione dell’anno, negli States a difender le eccellenze enoiche locali. Ma qualcosa, vedrete, mi uscirà ancora da dire. Perché la nottata ha da passare, ma nulla resterà impunito. Neanche il vassallaggio: giocatori, seggioline, stadio, lounge: vabbé che i padroni juventini si chiamano Agnelli, ma comportarsi da tali al loro cospetto mi par fin troppo eccessivo…
FRANCO CANCIANI