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Sparare su Iachini: serve? Basta?

Franco Canciani 21 Agosto 2016
iachini2

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È solo calcio, è solo calcio, è solo calcio…
Dovrebbe essere lieve, un gioco, una passione, come recita il colletto delle maglie che troppi giocatori sembrano non aver mai letto. E scrivo queste parole con gli occhi pieni di USA-Serbia di basket: finale olimpica, uno spettacolo superlativo con un illegalissimo Kevin Durant, che siede alla destra del Padre della pallalcesto.
Non è vero che l’unico responsabile della disfatta di ieri sia il Prode Gioacchino da Ascoli: colpevole, sì, di aver accettato supinamente alcuni consigli societari, volti alla conservazione di un’immagine della squadra. Così come di aver scelto un atteggiamento così prudente da non rendersi conto di quanto lenta e potenzialmente colpibile fosse la manovra romanista nel primo tempo.
Ma cedo: già, il modulo. Qualsiasi squadra ormai gioca con quattro difensori, vieppiù se si trova in difficoltà.
Difficoltà che, ad Udine, si ammira da circa centoventi gare. Quindi perché rischiare le imbarcate, la poca protezione del bravo spartan di porta, quando basterebbe addensare la zona per sporcare le folate avversarie?
La società? Ovviamente i titolari di un’azienda, perché oggi questo è l’Udinese, sono i primi colpevoli di ogni situazione negativa. Loro hanno scelto di depauperare il patrimonio nel corso degli anni, cedendo nonchalement gente come  Verre, Vydra, Ighalo, Batocchio, Abdi, e quanti ne dimentico. Hanno scelto, come suggerito da un amico, di spedire altrove “a maturare” Coppolaro e Pontisso. Non fenomeni, ma giocatori funzionali al progetto (?) Udinese quanto (se non di più) i vari Adnan, Zapàta (inciso: il Napoli perde Higuaìn e, stimando il colombiano fortissimo, lo lascia a Udine?) e compagnia cantante. Loro hanno scelto questo allenatore, che pare soffrire le situazioni di campo più di quanto ci si attenderebbe da un tecnico navigato ed esperto come lui. Sono certo che il nervosismo da ultima spiaggia (o quasi) in carriera conta, ma siamo solo all’inizio e un atteggiamento coraggioso potrebbe aiutarlo a ritrovarsi, e con lui la squadra.

Abbiamo devastato, anzi ho devastato nell’ordine Stramaccioni; Colantuono; l’ultimissimo De Canio perché snaturavano sé stessi pur di rimanere nell’àmbito della tradizione Udinese.
Tutto ciò premesso, non è la società che in campo si schiera e sembra dare il 40% di quanto richiesto, necessario, alla portata di una rosa che, per quanto non eccellente, non è così scadente da prendere lezioni di praticità dallo Spezia; il fratello Lorenzo Petiziol l’ha chiamata “carta velina”, io direi anche “un duralex caduto di culo”. Al primo urto, il bicchiere della nonna, se batteva il fondo, finiva in miliardi di goccioline di vetro. Quel che succede alle prime pressioni avversarie.

Non ho amici né sodali in società, fra i giocatori, fra i procuratori. Rispetto tutti, ma chi non vede oggi macroscopiche responsabilità tecniche in campo sa perfettamente di risparmiare ai sostenitori buona parte della verità.
Sono contrario alla distruzione ad personam di questo o quel tesserato; ma ieri ho provato non rabbia, non frustrazione ma dolore e pena; non tanto per me, quanto per uomini e donne, più o meno giovani, trasferitisi nella capitale e che fino alla fine hanno tifato per questi colori. A costoro noi che cantiamo di calcio dobbiamo, per rispetto e deontologia, un’informazione mai del tutto imparziale, ma quantomeno obiettiva. E se diciamo che i giocatori nella ripresa erano psicofisicamente sulle ginocchia a causa del fatto che i Pozzo non hanno comperato questi o quello manchiamo della minima credibilità.
Il friulano è di schiatta sanguigna, vien dalla braida ed in gran parte è furlan di mezza pianura come me.
Aspetta, rispetta, difende la propria fede poi tace. Ma non va preso in giro.
Uno dei miei punti di riferimento, e mi riallaccio al basket, era il compianto Aldo Giordani, esperto amante commentatore di pallacanestro, vis polemica e ragionamenti finissimi intessuti come un canto berbero. Diceva  sempre ai suoi redattori (quando si giocava di domenica) “se al martedì state ancora parlando della precedente
partita dovete cambiare mestiere. Domenica prossima! Lì dovete concentrare le energie!!”. Aldo ci lasciò nel lontano 1992, quando molti fra i giocatori nemmeno eran nati. Ma li invito a pensare a parole come queste, preparando la gara coll’Empoli nel migliore dei modi. Perché, signori miei, non siamo di fronte ad una mànica di brufolosi adolescenti alle prese coi primi baci: questi, età a parte, sono professionisti di un mestiere spesso pagato oltre i meriti reali. Pozzo e Bonato in testa, poi Iachini, e tutti gli altri, da Karnezis a Peñaranda.
Adesso, detto con tutto l’amore che posso, basta.

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