Premesso che scrivo questo articolo solo su pressione del redattore e per questo vi chiedo scusa per il ritardo. Volevo cancellare questo ricordo.
Come contro la Dea, i primi 15 minuti li giochiamo. La differenza è che questa volta sono i nostri avversari a rimanere in 10 e che per una volta Opoku (resti il mio idolo che tu sia in campo o meno) non ha colpe. Okaka parte largo a sinistra e crea disagio nella retroguardia giallorossa, costringendo Fazio ad un falletto ingenuo da ultimo uomo che in verità era molto veniale. Bene. Ora possiamo giocarcela. Invece no. Del risultato, della partita, ormai si è detto tutto. Quello che mi preoccupa è il futuro, quello che verrà perché ciò che è stato ormai è passato.
Dopo l’era Pradè forse ci eravamo illusi che questa formazione, figlia di Marino, fosse più competitiva. Dobbiamo tornare con i piedi per terra e valutare che:
Tudor non è Guidolin
De Paul non è Sanchez
Lasagna non è Di Natale
Samir è Samir
Mandragora non è Mandragora
Opoku ci è o ci fa?
Allo stato attuale siamo una squadra senza identità, non duttile o camaleontica, cioè in grado di adattarsi per sopravvivere ma bensì confusa, incapace di reagire agli stimoli esterni.
Insomma, mi sarei aspettato rabbia ed invece ho visto solo rassegnazione.
Un piccolo rimprovero al grande popolo Udinese: ora è il momento di sostenere e non di insultare, siamo il dodicesimo uomo: almeno noi mettiamocela tutta.
Cosa abbiamo imparato? Che forse per fare un progetto serve un progetto.