Era scritto, era nell’aria: il Crotone fa sua la gara soffrendo pochino contro un’Udinese non inguardabile ma spesso impalpabile, e chi come me aveva scommesso sul raggiungimento di quota-50 deve probabilmente rassegnarsi e pagare la debita cena. Temo il fast-food dietro casa non sia destinazione gradita, pazienza.
Voglio bene a chi ci legge, specialmente a coloro i quali sono in disaccordo e il precedente capoverso lo scrivo per loro: perché sì, mi sento un ingenuo per aver pensato che alla squadra raggiungere certi risultati avrebbe fatto piacere.
Magari sarà anche così: la ripresa di oggi ha visto i bianchi di Delneri cercare il pareggio, ma con poca lucidità, pochissimo gioco, ancor meno occasioni (Felipe su calcio piazzato). Di fronte una compagine pitagorica volenterosa, motivata ma in un campionato normodotato 37 punti potenziali basterebbero a malapena per arrivare terzultimi.
Gigi l’Aquileiense oggi mi tradisce: mette in campo una formazione senatoriale che obiettivamente nel primo tempo non gioca. Al netto dell’occasione di Badu al “pronti-via”, il Crotone dispone dei bianchi in maniera quasi totale. E con tutto il rispetto per il cuore, il carattere, la determinazione di Nicola e dei suoi, non stiamo parlando del Barcellona.
L’azione del goal decisivo è esiziale: Trotta crossa indisturbato, Rohden altrettanto isolato sbuca sul primo palo e fa secco il bravo Scuffet (decisivo in un paio di occasioni). Con tanti saluti a Widmer, Danilo, Alì Adnan che osservano nemmeno incuriositi l’azione rossoblu.
Una ripresa volitiva produce poco, il Crotone vince ma non basterà: la Juventus perde a Roma e la prossima settimana dovrà fare punti per garantirsi matematicamente lo scudetto, in una gara ancor più segnata per i pitagorici.
Dicevo che Delneri mi ha tradito: perché ero supersicuro che la sua quasi certa permanenza avrebbe consentito l’utilizzo, in una gara fra due formazioni con motivazioni diametralmente opposte, dei giovani che bene avevano fatto la settimana precedente contro un’Atalanta sì in calo di prestazioni, sì con diverse assenze ma comunque un test probantissimo. Invece no: Théréau, il cui campionato (a causa di evidenti guai fisici) si è chiuso sei settimane fa, e non Perica; Kums (inesistente) al posto di un Balic che si sta guadagnando la stima dei compagni e di tutto l’ambiente. Sarebbe cambiato qualcosa? Probabilmente no, ma perlomeno Gigi avrebbe aumentato il chilometraggio di qualche patrimonio della società, anziché concedere l’ennesimo passo d’addio ad un prestito secco dal Watford, e una figura decisamente magra a chi, Cyril, queste cose non se le merita.
Già: queste passeggiate per il campo del talento di Privas rischiano di offuscare le reti che, in un passato nemmeno troppo remoto, Théréau ha realizzato e che sono coincise con il momento migliore della squadra, definitivamente risollevata dalle pastoie degli ultimi due anni e mezzo.
Ci capisco poco e lo ammetto: dalla parola, solo quella, pronunciata a risposta di ogni domanda da parte del DS friulano (“aspettiamo”); alla mancata (sinora) pubblicazione su Twitter, Instagram o via piccione viaggiatore della foto in cui Delneri firma il rinnovo; ai pasos dobles del mister, che lancia i giovani per poi ritrarre la mano, metterli a gara compromessa come a dire “visto che anche con loro la solfa non cambia?”.
Ci capisco poco, e vorrei capirci di più: ma forse, assieme alla mancanza di intuito da parte mia, esistono meccaniche non divine ma societarie che mi sfuggono. E poi, presto comincia il trimestre nel quale la parola “Udinese” balzerà ai vertici delle ricerche nei motori di ricerca: quello del calciomercato. No, non mi ruga poi tanto, dato che da almeno venticinque dei trent’anni di gestione la “proprietà” si comporta nella stessa maniera. È solo che certe volte mi piacerebbe sentire un bel “no” di fronte alle richieste di formazioni che, quasi immancabilmente, si prendono i nostri sedicenti “gioielli”: dico sedicenti, perché spesso fuori dal contesto udinese costoro non danno poi gran prova di sé.
Ma la cosa più importante è avere qualche certezza. Il popolo friulano non è esigente, né esagitato o tantomeno pretenzioso; segue, come ieri, i propri sbiaditi colori su e giù per la penisola: certe volte meriterebbe un pochino di considerazione in più, tutto qui.
Passino in fretta questi ultimi 180 minuti del campionato; se ne vadano con la stessa sollecitudine coloro i quali hanno già la valigia spedita in una destinazione “altra”, e con quella motivazioni, affezione, voglia. Ma soprattutto scenda, la “proprietà”, dal proprio pianeta inviolabile a livello di tutti noi mortali: cronisti, supporter, cantori di colori che indifferenti non sono. E comunichino: ché è proprio il dialogo la cosa meno curata nella gestione societaria, cosa che in una squadra di calcio tanto normale non è.